Nel 2005 si susseguono da un Paese all’altro iniziative per celebrare i 200 anni dalla nascita di Hans Christian Andersen, lo scrittore di fiabe più conosciuto e tradotto al mondo. In Italia ci ha pensato Iperborea, la casa editrice che ha fatto conoscere e amare al nostro pubblico la letteratura scandinava contemporanea e non, pubblicando la prima traduzione italiana di Peer fortunato (http://www.iperborea.it/web/libri/0131.htm), ultima opera di Andersen. Si tratta di un romanzo breve autobiografico dal tono poetico e ironico insieme, che narra ciò che la vita avrebbe dovuto essere, secondo Andersen, che non guarì mai dalla sindrome del brutto anatroccolo.

Andersen raggiunse l’ambito successo ma non riuscì mai a essere felice, e rimase sempre un uomo solo, come era stato da bambino. Era nato in Danimarca il 2 aprile 1805, aveva perso presto il padre, ciabattino, e aveva avuto un’infanzia non facile con la madre lavandaia e dedita all’alcol. Quindi, a 14 anni si era recato da Odense a Copenaghen.

Tardò a riconoscere il proprio talento perché inizialmente voleva lavorare nello spettacolo. Tentò come attore, come ballerino poi cantante. Quando nel 1835 pubblicò la sua prima raccolta di fiabe iniziò il successo, tanto che allo scrittore Andersen venne dedicata una statua nel parco reale di Copenaghen ancora prima della sua morte (avvenuta il 4 agosto 1875).

Con Andersen inizia la fiaba letteraria, diversa da quella dei fratelli Grimm che all’incirca negli stessi anni stavano svolgendo il loro lavoro di raccolta di racconti popolari sulla base di un interesse soprattutto filologico. Nelle 156 fiabe di Andersen spesso ci sono elementi autobiografici, il finale non sempre è un “lieto fine”, o almeno ha risvolti tragici. Scritte per i bambini, in realtà si rivolgono anche agli adulti, e agli adulti piacciono, sempre di più da un secolo e mezzo proprio perché vi trovano un livello di lettura ricco di significato e levità allo stesso tempo.

Oggi la fiaba di Andersen è moltiplicata attraverso film, cartoni animati, fumetti, televisione. Una delle ragioni per cui ancora riesce a parlare al pubblico moderno è, probabilmente, che si tratta di una fiaba nata nella società cittadina, basata sull’immaginario borghese più che su quello contadino, e animata dalle paure che qualche anno dopo la psicanalisi avrebbe svelato.

Andersen scrisse anche alcuni romanzi, e resoconti dei suoi numerosi viaggi – percorse tutta l’Europa e il vicino oriente, e la parte più consistente della sua narrativa di viaggio è dedicata all’Italia, che lo colpì molto e rappresentò lo scenario e la fonte di ispirazione anche per alcune sue opere (la fiaba L’elfo della rosa deriva da Boccaccio). Peer fortunato fu scritto e pubblicato nel 1870. Stando al suo diario, Andersen iniziò a scriverlo come una fiaba, ormai consapevole che quella era la forma narrativa che gli era più congeniale, anzi in cui era maestro. Vi infuse tutti i suoi temi più cari e volle concluderla come un trionfo, risparmiando al suo protagonista la malinconia del'outsider che egli stesso provava nella società e tra gli intellettuali del tempo, nonostante la sua statua campegiasse nel parco di Copenaghen.