La Ruota del Tempo gira e le Epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda; la leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato, quando ritorna l’Epoca che lo vide nascere. In un’Epoca chiamata da alcuni Epoca Terza, ‘un’Epoca ancora a venire, un’Epoca da gran tempo trascorsa’, il vento si alzò nelle Montagne di Nebbia. Il vento non era l’inizio. Non c’è inizio né fine, al girare della Ruota del Tempo. Ma fu comunque un inizio.

Ma fu comunque un inizio. E c’è un nuovo inizio per La Ruota del Tempo, la saga inaugurata da Robert Jordan nel 1990. Il fantasy era un genere minore, ignorato dal grande pubblico, che lo riteneva adatto solo a un pubblico giovane, evitato da cinema e televisione, almeno da quelli con ambizioni importanti, perché troppo costoso da realizzare e impossibile da rendere in modo adeguato con la tecnologia disponibile all’epoca. Nella narrativa il modello tracciato da J.R.R. Tolkien con Il signore degli anelli, romanzo erroneamente definito trilogia, sembrava l’unico capace di raggiungere un certo successo commerciale, e quindi lì’unico interessante per chi con il fantasy lavorava. Come conseguenza le storie erano per lo più strutturate in trilogie e incentrate su una compagnia eterogenea ma affiatata impegnata in una difficile cerca.

A questa visione si è ribellato Robert Jordan. Per molte pagine L’Occhio del Mondo, primo volume della sua monumentale saga, si riaggancia direttamente a Tolkien. È una scelta deliberata, un omaggio a un maestro per cui Jordan non ha mai nascosto la sua ammirazione e a cui, anche nel prosieguo della saga, sono dedicati diversi piccoli omaggi. Ma è solo l’inizio, l’ingresso in un mondo che gradualmente si approfondisce e si allontana dal modello di partenza, diventando complesso a un livello che, prima dell’avvento di Jordan, era impossibile da immaginare. Tolkien ha approfondito con meticolosa cura tutti gli aspetti della Terra di Mezzo, ma Tolkien era Tolkien, un filologo e l’unico autore fantasy riconosciuto come importante anche da chi il fantasy lo snobbava. Era possibile avere la sua stessa profondità in un’altra storia? Era possibile concepire un progetto grandioso, che non si limitasse alla semplice avventura, al ricalcare gli elementi più appariscenti, per costruire un mondo costruita con la stessa cura per il dettaglio, la stessa verosimiglianza pur negli aspetti più fantastici, in cui i lettori volessero tornare, anno dopo anno, per un tempo impossibile da definirsi?

Jordan ha iniziato a ideare il suo mondo nel 1985, quando al suo attivo aveva sette romanzi incentrati su Conan il barbaro, il personaggio ideato da Robert E. Howard, commissionatigli da Tom Doherty, che sarebbe stato il suo editore anche per La Ruota del Tempo, un western, e una trilogia storica ambientata fra il XVIII e il XIX secolo. Il primo romanzo è stato pubblicato nel 1990, con Jordan che ha venduto a Doherty i diritti per la pubblicazione di una trilogia, pur sapendo che avrebbe scritto almeno sei romanzi, e Doherthy che ha finto di non sapere che il suo scrittore aveva in mente molto più di quanto dichiarava. Eppure quel libro, lungo oltre il doppio di un normale romanzo fantasy, inizio di una storia che non si sapeva quando sarebbe finita, era buono, così buono che valeva la pena di correre un rischio enorme. La storia ha dato ragione a entrambi, molto più di quanto chiunque potesse prevedere.

Con gli anni i romanzi sono diventati quattordici, quindici se si conta un prequel che è corto rispetto ai volumi che compongono la saga, ma che è un romanzo di lunghezza media per qualsiasi genere diverso dal fantasy. Dall’ottavo romanzo, The Path of Daggers, pubblicato nel 1998, tutti i volumi hanno raggiunto il primo posto nella classifica dei bestseller del New York Times. Un successo tutt’altro che scontato, e che ha portato gli editori a dare fiducia ad altri autori fantasy capaci di creare mondo complessi in storie che si espandevano ben oltre la trilogia. Una delle novità di Jordan è questa: le dimensioni. Ora siamo abituati a saghe lunghissime, che siano Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin, Il libro Malazan dei caduti di Steven Erikson o Le cronache della Folgoluce di Brandon Sanderson, ma queste saghe non sarebbero potute esistere se Jordan non avesse dimostrato che è possibile avere una visione grandiosa, e non avesse abituato il pubblico dei lettori a storie che crescono nel tempo, e se non avesse fatto capire agli editori che, al momento di ogni pubblicazione, devono ponderare rischi e possibili guadagni, che esisteva un marcato per questo tipo di storie.

Da una trama classica, con compagnia, cerca e ostacoli vari sul cammino dei protagonisti, la storia diventa sempre più articolata con intrighi politici e tradimenti che si affiancano all’avventura, gli scontri fra culture diverse che non sono meno importanti degli scontri che avvengono sui campi di battaglia, la magia che ricopre un’importanza sempre maggiore pur essendo vincolata da regole precise che le impediscono di trasformarsi nella soluzione di comodo per ogni problema, i personaggi che maturano nel tempo attraverso le difficili scelte che sono costretti a compiere e una visione d’insieme sempre ricca e convincente.

La Ruota del Tempo si è conclusa dopo la morte del suo creatore. Nel 2006, non molto tempo dopo la pubblicazione dell’undicesimo romanzo, Knife of Dreams, Jordan ha scoperto di essere affetto da una delle forme più gravi di amiloidosi, una malattia autoimmune che troppo spesso è fatale. La morte è sopraggiunta un anno e mezzo più tardi, il 16 settembre 2007. Fra la diagnosi della malattia e la morte, Jordan ha scritto una quantità incredibile di materiale in cui spiegava ciò che aveva in mente per i suoi personaggi e per il suo mondo, perché desiderava che i lettori potessero conoscere la fine della storia. Questo materiale è stato trasformato in romanzi da Brandon Sanderson che con A Memory of Light, pubblicato nel 2013, ha posto la parola fine alla saga. Ha posto una parola fine, potremmo dire, perché non c’è inizio né fine alla Ruota del Tempo, e non solo perché chi non si lascia scoraggiare dalle dimensioni della saga viene regolarmente travolto da un maelstrom di emozioni al punto da dichiarare, una volta giunto alla fine, di voler ricominciare la lettura da capo, in una storia che si conferma circolare. Nel mondo di Jordan è l’andamento stesso del tempo che segue i giri di una ruota, anche se a ogni giro piccole deviazioni sono possibili. Piccole deviazioni, che possono portare a cambiamenti enormi. Nel mondo creato da Jordan così come nell’animo del lettore. E, forse, ora anche in quello dello spettatore.

Dopo alcune false partenze e numerosi problemi la storia è arrivata sul piccolo schermo. Il successo di Il trono di spade ha fatto capire che anche il fantasy può affascinare il pubblico mainstream. A differenza di quanto avviene nel mondo di Martin, in quello di Jordan non ci sono draghi, in compenso la magia viene usata in modi spesso spettacolari. Riuscirà La Ruota del tempo a stregare gli spettatori come ha fatto con i lettori? Questo solo il tempo potrà dirlo, quello che è appena arrivato sul piccolo schermo è un nuovo inizio.

Sinossi

Ambientata in un mondo epico e tentacolare in cui la magia esiste e solo alcune donne possono utilizzarla, la storia segue Moiraine (Rosamund Pike), componente di una organizzazione tutta al femminile incredibilmente potente e chiamata Aes Sedai, al suo arrivo a Two Rivers. Lì inizia un pericoloso viaggio intorno al mondo insieme a cinque giovani uomini e donne, uno dei quali si profetizza sia il Drago Rinato, destinato a salvare o a distruggere l’umanità.