Sono passati parecchi anni da quando il sacrificio di Neo (Keanu Reeves) ha consentito di terminare la guerra tra umani e macchine. Questa era in sintesi la trama della fortunata trilogia di videogiochi Matrix, ideata dal geniale games designer Thomas Anderson nel 1999. Ma ora che dalla Warner, proprietaria del marchio, è stato commissionato un seguito, Thomas sente che qualcosa non va nella sua esistenza.
Tutti cercano di tranquillizzarlo: vari colleghi; il suo capo Smith (Jonathan Groff); il suo analista (Neil Patrick Harris), il quale gli ribadisce che le sue percezioni, i suoi deja vu, sono frutto delle sua mente. E chi è Tiffany (Carrie-Anne Moss) quella donna affascinante che frequenta la sua stessa caffetteria, con la quale sente di avere un legame, nonostante sia sposata con figli?
A scuotere Anderson dalla sua realtà, offrendogli la pillola rossa della conoscenza, arrivano due figure: Morpheus (Yahya Abdul-Mateen II) e Bugs (Jessica Henwick). Ma il risveglio sarà solo l’inizio di un percorso durante il quale, badando a salvare la sua vita, Neo dovrà trovare la risposta ai nuovi interrogativi che si schiuderanno dopo essere entrato nella tana del Bianconiglio.
18 anni dopo Matrix Revolutions, film che nel 2003 concluse la trilogia di Matrix, è la sola Lana Wachowski a tornare sulla saga che le ha dato fama e fortuna. Quando il primo Matrix uscì nel 1999, l’ondata di film supereroistici e lo sfruttamento dei cicli e delle proprietà intellettuali come li concepiamo oggi erano ancora di là da venire. Il primo film, più che brillare per originalità narrativa, fu un momento storico nell’evoluzione della tecnologia cinematografica. Uno di quei film per i quali non è esagerato dire che esistono un “prima” e un “dopo”. Tralasciando ogni giudizio sui seguiti, possiamo dire che con la morte di Neo e Trinity, alla fine del terzo film quell’arco narrativo sembrava essersi concluso.
Se ben ricordo, quelli che all’epoca erano i fratelli Wachowski dissero, tra le altre cose, che era proprio l’idea di rappresentare un mondo di supereroi tra quelle ispiratrici del progetto. E nei mondi di supereroi la morte non è quasi mai una faccenda definitiva. Di escamotage narrativi per giustificare le “resurrezioni” chi segue i supereroi è abituato a vederne praticamente ogni giorno. Quello, forse un po’ arzigogolato, di Matrix Resurrections non è il primo e non sarà l’ultimo.
Sulle ragioni per le quali il film è stato prodotto, con una schiettezza meta narrativa senza pari, è lo stesso film a ironizzare, bucando in un certo senso la quarta parete, in varie scene, fino a quella dopo i titoli di coda.
La presenza di questa scena suggerisce proprio questa chiusura del cerchio, ovvero la voglia della Warner di avere l’equivalente commerciale del MCU. Dopo l’abortito e fallimentare progetto Jupiter Ascending, affidato alle sorelle Wachowski per costruire lo Star Wars della Warner, con il progetto prettamente supereroistico DCEU che avanza con alterne fortune, arriva quindi il tentativo di ridare vista al franchise Matrix, con un film che potrebbe essere definito sequel/reboot, se queste parole hanno un senso.
Da un lato è un sequel perché di Neo, Trinity e del loro mondo, si continua la storia. Da un'altra parte è quasi un nuovo inizio perché molto è cambiato proprio in quel mondo. L’autoironia con il quale si affronta il compito bilancia la seriosità degli interminabili dialoghi posti tra una sequenza d’azione e l’altra, volti a spiegare le nuove basi dell’universo narrativo. Peccato non avere l’avanti veloce al cinema, perché quelle spiegazioni generatrici di entropia potrebbero anche essere saltate senza troppi danni, godendosi le sequenze d’azione che, pur senza essere innovative, sono ben congegnate. Pur tuttavia Matrix Resurrections non è un’esperienza visiva che fa aprire la bocca per lo stupore.
Non manca il divertimento, con una regia attenta a sfruttare gli elementi visivi a fini narrativi. La dualità rosso/blu è onnipresente nelle scelte cromatiche, per esempio. In blu sono rappresentati gli elementi che vogliono imprigionare nella matrice i protagonisti, mentre in rosso lo sono quelli il cui scopo è liberarli dalla prigione virtuale costruita dalle macchine. Ben risponde a queste esigenze l’elegante fotografia di John Toll (Cloud Atlas, Sense8) e Daniele Massaccesi (figlio di Aristide, ovvero Joe D’Amato).
Nonostante la mancanza della sorella Lilly, la famiglia allargata dei collaboratori Wachowski è presente in vari comparti, tecnici e attoriali. La storia, pur se incentrata sul duo Neo/Trinity, presenta vari nuovi personaggi, con intenzioni e caratterizzazioni marcate, pur se non del tutto evolute.
Il vero problema del mondo di Matrix nasce dal primo motivo per il quale è stato ideato. Ossia quello di dare un minimo sostegno narrativo a un film, quello del 1999, concepito essenzialmente come un’esperienza visiva emozionante e al di sopra di quanto visto fino a quel momento.
La mancanza di questa componente ci restituisce un film che è visivamente nella media, ma con basso respiro narrativo. Le spiegazioni filosofiche, i giri di parole, non colmano il vuoto di personaggi monodimensionali calati in un mondo le cui fondamenta sono strutturalmente deboli. Se riuscita ed efficace è la meta narrazione in trasparenza, la narrazione vera e propria resta con tutti i difetti che hanno caratterizzato i film precedenti, ai quali alla fine questo aggiunge ben poco.
C’è una differenza. Se è vero che inizialmente Matrix non era pensato per avere dei seguiti, questa volta sembrerebbe che ci sia un progetto di rilancio. Potrebbe anche darsi che ci siano cartucce in serbo per gli episodi successivi. Personalmente ritengo che sia meglio utilizzare subito le buone idee, se ci sono, quindi se questa è l’intenzione posso solo rammaricarmi.
Pur se tra alti e bassi, c'è l’intenzione di creare un ciclo che, pur mantenendo il passato, guardi avanti e contenga elementi di novità. Non voglio spingermi troppo per non anticipare, ma c’è la volontà di superare il dualismo netto e manicheo che vuole le macchine tutte tra i cattivi e gli umani tutti tra i buoni, per esempio. Come si svilupperà ve lo lascio scoprire.
Come ho detto prima, gli “spiegoni” non mancano, ma sono meno pretenziosi di quelli dei due seguiti precedenti. Così come sono meno sfiancanti le sequenze d’azione, questa volta di una durata più accettabile.
Pur senza eccellere, alla fine la prova di Matrix Resurrections è superata con la sufficienza. Ora spetta al pubblico decidere se Neo e Trinity meritano il completamento di un nuovo arco narrativo o se hanno fatto il loro tempo.
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