Ciao Penny, è un piacere averti qui su Fantasy Magazine.

In questi giorni, nella collana Odissea Wonderland di Delos Digital, è uscito il tuo esordio: La lince della luna nuova, romanzo fantasy Young Adult con uno spiccato lato romance e un’ambientazione ricca ed evocativa.

Iniziamo parlando proprio del tuo mondo e della sua mitologia. Da dove hai attinto per dargli vita?

Innanzi tutto grazie per questa intervista, che affronto con una certa emozione. Passare da lettrice delle vostre pagine ad “argomento”, è già un'avventura.

Per rispondere alla domanda, diciamo che quando mi immergo in una storia, nella quale conto di vivere a lungo, tra stesura e riletture, mi piace crearmi un ambiente confortevole, abitato da persone che mi piacerebbe conoscere e imbevuto di quel che più preferisco.

Questo perché, al di là dell'impegno che richiede e proprio perché le dedico gran parte del mio poco tempo libero, per me la scrittura è il mio modo di prendermi una vacanza. Va bene che un filo di masochismo sarà insita nell'animo di ogni autore, ma io non andrei volentieri in vacanza in un luogo che detesto, tra individui che non sopporto.

Questo non significa che ciò che racconto debba essere sempre “piacevole” in senso stretto.

Amo la storia, che non è certo un delicato intreccio di fatterelli edificanti. Mi affascinano i miti, e pure qui tra storie a tinte macabre e creature terrificanti non è proprio tutto rose e fiori. E poi mi interessano le problematiche contemporanee, quindi, di nuovo, cuscini di piume nisba.

Ok, forse quel “filo di masochismo” comincia ad assomigliare a una gomena da nave container, se trovo “confortevole” quello che ho elencato.

Ma di base il concetto resta: voglio un ambiente che mi piace o, meglio ancora, che mi interessi.

Ho la balorda aspirazione di calare chi mi legge in tematiche non banali, con l'aiuto di una cifra narrativa più leggera, che pesca da un'ambientazione e una mitologia prettamente europea. Una sorta di “mondo altro”, allo stesso tempo esotico e familiare. Escursioni nei boschi dei nostri appennini e anni di letture sui miti celtici e norreni hanno inevitabilmente influenzato il “mio” mondo.

 

La figura del Berserk è senz’altro affascinante ed è presente in moltissimi fantasy, che cosa ti ha spinto ad utilizzarla e come hai pensato di rielaborarla?

 

Diciamo che non è stata una scelta preordinata.

Quando ho iniziato a scrivere “La Lince della Luna Nuova”, partendo da una sorta di “fotogramma” mentale abitato dalla sua sola protagonista, ho iniziato a pormi delle domande su di lei che mi hanno permesso di delinearla, e con lei è emerso anche un altro personaggio.

Per il ruolo che aveva nella storia, doveva avere una relazione molto stretta con l'ambiente selvaggio in cui la storia è ambientata. La biografia che si stava delineando per lui offriva anche le sue note caratteriali, con abitudini che ricordavano quelle di una creatura schiva, dalla vita solitaria come solitamente è quella degli orsi. La mia rielaborazione del Berserkr è iniziata da lì.

Quando sono andata “a caccia” delle tracce storiche di queste figure, avvolte di paura e leggenda, ho scoperto che il loro “arco evolutivo” aveva parecchie analogie con il personaggio che volevo raccontare.

E alcune differenze. I Berserkr “tradizionali” erano una casta di guerrieri travestiti da belve, per incutere ancora più terrore nei nemici.

Il “mio” Berserkr rifugge la lotta come la peste e non si traveste.

Ma credo che conoscendolo nessuno lo vorrebbe come nemico, ma lo apprezzerebbe assai come alleato.

 

La protagonista del romanzo, Wren, ha una particolarità non da poco, si esprime solo attraverso il linguaggio dei segni. Ci sono delle ragioni dietro a questa scelta?

 

Volevo rendere in modo concreto l'idea di un personaggio come siamo tutti noi: persone con debolezze e punti di forza, che fatichiamo a esprimere verso l'esterno e a valorizzare in tutta la loro potenzialità.

Wren non parla e questo pare renderla ancora più fragile, ma allo stesso tempo possiede un talento che la rende unica, diversa da tutte le persone che la conoscono. E che faticano a capirla. Una “sordità” che non è fisica, ma tutta mentale. L'incomprensione, infatti, si dirada mano a mano che subentra la disponibilità ad avvicinarsi, fidarsi e lasciarsi condurre da lei.

È stato un interessante esperimento cercare di rendere questo “percorso di comprensione reciproca” in forma di dialogo. Vedere come mano a mano che gli altri, non lei, imparavano la “sua lingua”, le parole tornassero a farsi fluide e la sua “debolezza” linguistica scomparisse.

La componente romantica è molto importante nel tuo romanzo, ma non risulta mai stucchevole, anzi, è ben integrata nell’intreccio e con gli altri ingredienti del romanzo. Come hai gestito questo delicato equilibrio tra due generi?

 

Come accennavo prima, quando scrivo mi piace crearmi una storia “confortevole” con i miei interessi principali. Il “fattore romantico” è, se mi si passa una metafora culinaria, un ingrediente dalla sapidità parecchio spiccata. Quindi… qb. Quanto basta.

Diciamo che ho ragionato da golosa consapevole. Ovvero: è giusto che compaia, se nell'economia della vicenda ha un senso, e comunque quanto più naturalmente possibile, senza abusarne.

Ho cercato di assecondare quanto meglio ho potuto il carattere dei miei personaggi e lasciar fare a loro, rispettandoli.

Ho letto troppi romanzi oggettivamente ben scritti, almeno per il mio gusto, precipitare in un baratro di artifici amorosi parecchio ingombranti “perché ci vanno messi”. Per carità, ogni gusto è legittimo, ma io li trovo urticanti. Non volevo scrivere qualcosa del genere.

L'amore è un sentimento troppo prezioso per farne spreco narrativo. Non credo che inzupparne la scrittura gli renderebbe merito.

 

Un altro elemento di spicco è l’ambientazione, che lascia grande spazio a foreste selvagge, intricati sottoboschi e sconfinati paesaggi montani. Sbaglio o dalla tua scrittura traspare un grande amore per la natura?

 

Non sbagli.

Sono una cittadina, ma ben consapevole delle mie radici contadine e con il pallino naturalistico sin dagli anni più verdi. Capisco bene le istanze di Greta Thunberg perché sono le stesse cose che pensavo e penso da quando ho avuto l'età per capire.

Tra i miei primi libri d'infanzia, quando nemmeno sapevo leggere, c'è stata un'enciclopedia degli animali. E mio padre, prima di lavorare nelle fabbriche della città dove abito, era stato un contadino, figlio di un cacciatore “di una volta” e appassionato di pesca.

Nella “natura esotica” mi ci portavano i libri e i documentari di Sir David Attemborough, di Félix Rodriguez de la Fuente, di Folco Quilici (immagino non si capisca per nulla che sono una fan sfegatata di Quark e Geo).

In quella vicina e tangibile mi ci portava mio padre. Era con lui che avvenivano le mie escursioni in campagna e nelle colline della mia provincia. Lui mi insegnava a distinguere gli uccelli e le piante, a trattare l'ambiente con rispetto, a prendere il giusto e a non distruggere quello apparentemente non serviva.

All'università ebbi la fortuna di seguire i corsi del prof. Fumagalli, capace di raccontare il medioevo non come la consueta pletora di battaglie e guerre dinastiche, ma anche in un'ottica molto più umanistica e “ambientalista”, con le comunità umane divenute isole in un mare d'alberi che ammantava l'intera Europa, costretti giocoforza a convivere con creature minacciose e allo stesso tempo rispettate, come l'orso e il lupo.

La foresta che era minaccia, ma anche rifugio e nutrimento.

La natura che mi piace raccontare non è un giardinetto asettico e idealizzato, ma quanto più possibile realistico anche nei suoi aspetti paurosi. Una “creatura” selvaggia e allo stesso tempo splendida, che noi bipedi stolidi vorremmo ridurre, nel migliore dei casi, a uso domestico, come fosse nostra proprietà personale e non qualcosa da cui dipende la nostra stessa esistenza.

 

In conclusione, quale tipologia di lettori pensi che potrebbe apprezzare di più il tuo romanzo?

 

Il fattore età probabilmente è il meno importante, in questo senso. O almeno è ciò di cui sono convinta io.

Quasi ogni libro possiede vari registri di lettura, che possono renderlo attraente per un pubblico abbastanza variegato. Non credo che il mio segua una regola diversa.

Potrei andare per esclusione.

Chi pensa che trovare un proprio posto nel mondo sia facile, che amicizia e affetto siano merce di scarso valore, che distruggere sia più importante che capire e che la prepotenza è l'unica arte che andrebbe coltivata ed esercitata ogni volta che se ne presenti l'occasione, magari faticherebbe a digerire queste pagine.

Pure chi preferisce storie di esistenzialismo cittadino, entro l'orizzonte disegnato da casermoni di cemento e strade affollate di auto, ecco, qui si troverebbe un pochetto spaesato.

Per tutti gli altri dovrebbe andare bene.

Grazie per essere stata con noi, alla prossima avventura!

Grazie a voi e a chi ha avuto e avrà la pazienza di leggermi.

La lince della luna nuova – Parte 1

La lince della luna nuova – Parte 1

Articolo di Redazione Mercoledì, 16 febbraio 2022

Nessuna via è troppo ardua, se non si è soli a percorrerla.

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