Ho impiegato un po’ a mettere a fuoco i motivi per cui The Batman, nonostante una messa in scena impeccabile, mi abbia lasciato decisamente deluso.
Mi ha aiutato, sia pure indirettamente, rivedere nei giorni scorsi i due film realizzati da Tim Burton a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, che fra tutte le trasposizioni dell’uomo pipistrello rimangono senza alcun dubbio le mie preferite.
Non che siano davvero paragonabili ai film successivi. Esclusi per eccesso di bruttezza i due di Joel Schumacher, sia i tre capitoli diretti da Christopher Nolan che quest’ultimo reboot appartengono a un’epoca troppo diversa da quella delle opere di Tim Burton.
Nel 1992, mentre nelle sale usciva Batman Returns, Francis Fukuyama pubblicava il saggio La fine della storia in cui teorizzava che con il trionfo delle democrazie liberali l’umanità avesse raggiunto la sua ultima e più perfetta forma di organizzazione.
Un quarto di secolo dopo, Il cavaliere oscuro e il suo Ritorno facevano da sfondo alla crisi economica più grave e profonda della storia, capace di scardinare ogni fiducia nel sistema economico e politico, nei suoi rappresentanti e nelle sue istituzioni, non solo negli USA ma in tutto il mondo, ponendo centinaia di milioni di persone di fronte alla disperata necessità di trovare un’alternativa.
Così, del primo Batman di Tim Burton ricordiamo la famosa gag della cena “intima” tra Bruce Wayne e Vicki Vale, seduti ai due capi di un tavolo ridicolmente lungo, al punto che i due devono gridare per sentirsi, e quando Kim Basinger chiede il sale, Michael Keaton deve fare una passeggiata per porgerglielo. Termineranno il pasto nell’assai più modesta cucina, ridendo insieme ad Alfred – e insieme agli spettatori.
Oggi, di fronte all’ostentazione del privilegio e della ricchezza, non c’è più niente da ridere: il pensiero di gran parte del pubblico corre immediatamente alla disuguaglianza, al “We are the 99%” del movimento Occupy nei primi anni Dieci di questo secolo, ai miliardari che vanno a spasso nello spazio mentre sulla Terra si muore di fame, di caldo, di guerra.
Per poter “parlare” con gli spettatori, anche i film di intrattenimento devono necessariamente confrontarsi in modo problematico a questi temi, devono in qualche modo rappresentare la sfiducia delle masse verso le istituzioni, pena l’irrilevanza.
Come già i film di Nolan, anche The Batman non si sottrae a questa necessità.
Se la leggendaria fortuna di famiglia è sempre un tratto essenziale del personaggio di Batman, in quest’ultimo film il lascito di Thomas Wayne al figlio è il vero e proprio fulcro della storia.
Così già nella prima scena vediamo i due candidati a sindaco, alla vigilia delle elezioni, scontrarsi sui soldi della Fondazione Wayne e del suo fondo per il rinnovamento della città: patrimonio da impiegare meglio per Don Mitchell, sindaco uscente e uomo del sistema; sciagurata fonte di corruzione e malaffare per Bella Reál, giovane sfidante di colore e progressista.
La tesi di quest’ultima, che è anche quella del pubblico in sala, sembra confermata dalle indagini di Batman. A quanto pare, tutte le istituzioni di Gotham, dalla politica alla giustizia, dalla polizia alla finanza, sono legate mani e piedi al mondo della malavita, in un costante e reciproco scambio di favori e protezioni.
È in questo verminaio che ha trovato terreno fertile l’ossessione dell’Enigmista, determinato a fare piazza pulita dei corrotti in un modo che, apparentemente, non è poi neppure troppo diverso da quello dell’uomo pipistrello: un altro che in effetti combatte il crimine senza andare più di tanto per il sottile (“Io sono Vendetta”, sono le sue prime parole nel film).
Al culmine della vicenda, scopriamo con il protagonista che perfino il filantropo Thomas Wayne era pesantemente coinvolto in questo clima di collusione: sarebbe stato addirittura il mandante dell’omicidio, eseguito dal mafioso Falcone, di un giornalista “scomodo” che minacciava di fargli perdere le elezioni. È proprio per questa ragione che l’Enigmista, non potendo rifarsi sul padre, intende colpire il figlio Bruce.
È la parte più interessante del film. La rivelazione del passato oscuro della sua famiglia ha l’effetto di paralizzare Batman (e nel rendere questo tormento Robert Pattinson è bravissimo), di fatto lo disarma di fronte al suo antagonista: infatti come può biasimarlo, prima ancora che sconfiggerlo? Che cosa li distingue se i loro bersagli sono ugualmente colpevoli, se neppure sull’integrità del proprio padre può fare affidamento?
E, fuor di metafora, dal momento che il punto di vista di Bruce Wayne è quello dello spettatore, come facciamo noi a distinguere le istituzioni buone da quelle cattive? Quelle che magari vanno solo un po’ aggiustate da quelle che vanno distrutte?
La soluzione di questo dilemma è una grande delusione, dal punto di vista narrativa prima ancora che sotto l’aspetto del suo significato.
Innanzitutto, Alfred ci spiega che Thomas Wayne in realtà non ha mai chiesto a Falcone di uccidere quel giornalista, voleva “solo” che lo intimidisse un po’. Il tipico eccesso di zelo dei mafiosi, insomma. E poi Thomas si è sentito tantissimo in colpa. Quindi è praticamente innocente.
Ora, possiamo comprendere che Bruce si lasci convincere facilmente: in fondo si tratta della memoria e del buon nome di suo padre. Per noialtri che non facciamo Wayne di cognome è un po’ più complicato, a meno di non avere il senso morale di un criceto. D’altra parte è il tipo di giustificazioni che i media ci propinano quotidianamente per farci tollerare e sembrare normale, ad esempio, che in Italia la Lega e Berlusconi siano alleati di governo del Partito Democratico.
Il secondo trick è il solito piano ingiustificatamente e catastroficamente megalomane del cattivo. L’Enigmista ha stabilito di colpire per ultima Bella Reál, nel frattempo diventata sindaco: da buon anarchico, per l’Enigmista non esistono “poteri buoni”. Fin qui nulla di strano.
Ma se finora ha ucciso in modo chirurgico, tutto sommato senza danni collaterali – dimostrando dunque di avere l’inventiva e le capacità necessarie per farlo nuovamente – stavolta per qualche inspiegabile ragione sente il bisogno di fare una strage: distruggerà a suon di bombe il bacino idrico di Gotham provocando un’inondazione della città; i suoi seguaci si piazzeranno nel palazzetto che prevedibilmente sarà l’ultimo rifugio della popolazione e, approfittando del caos, assassineranno il sindaco.
Un piano così inutilmente stupido, e soprattutto completamente scollegato dal modus operandi dell’antagonista (a differenza ad esempio da quello di Bane nel Il cavaliere oscuro – Il ritorno, che se non altro era coerente con il personaggio) ha una sola funzione: convincerci che quello è inequivocabilmente il cattivo.
Un terzo stratagemma funzionale alla nostra immedesimazione con la parte “giusta”, appena meno ingenuo dei precedenti, sono i riferimenti alla nostra attualità (soprattutto statunitense), che fioccano nella parte finale del film.
Così è impossibile non riconoscere negli accoliti ed emulatori dell’Enigmista, che non a caso usa i social per adescarli/reclutarli, i follower di Donald Trump che invadono il Campidoglio. Mentre Bella Reál sembra proprio ricalcata sulla figura di Alexandria Ocasio-Cortez, con il suo Tax the rich stampato sull’abito al galà con i ricchi dello scorso anno: giovane, appartenente a una minoranza etnica, progressista, critica verso il sistema ma allo stesso tempo fiduciosa che possa essere salvato migliorandolo, senza necessità di abbatterlo – e quindi, in ultima analisi, di questo stesso sistema baluardo più affidabile rispetto ai “vecchi” politici.
Ed ecco che nella scena finale si consuma l’alleanza fra queste istituzioni che si autoproclamano migliori di quelle precedenti (ma migliori in che cosa?) e l’eroe mascherato – che siamo noi: non sarà più “Vendetta”, ma “Speranza”.
Il significato della vicenda è tutto qui, e si riduce a un grosso endorsement in favore del Partito Democratico USA (e delle forze politiche moderate nel resto del mondo): “Certo, il sistema non è perfetto, ma l’alternativa è la barbarie: fidatevi di noi che siamo i buoni ed evitate di fare troppo casino.”
Che in quest’epoca di crollo delle certezze e di crisi della fiducia nel sistema debba essere Batman a restituircela, è la cosa più inverosimile, e forse è il difetto più vistoso del film. Dubito poi che funzionerà.
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