Ciao Eugene, è un piacere averti qui su Fantasy Magazine.
In questi giorni, nella collana Odissea Wonderland di Delos Digital, è uscito il tuo esordio: Shout At The Devil, romanzo urban fantasy Young Adult all’insegna del rock e dell’esoterismo.
La musica è senz'altro una componente fondamentale del tuo romanzo, la passione per il mondo delle band traspare in ogni capitolo e permea tutta la trama. Sei un musicista? Quanto la tua esperienza personale ha influenzato la stesura?
La musica è una costante della mia intera esistenza: mi accompagna quando mi metto in macchina per andare al lavoro, la tengo in cuffia mentre sono in giro e la ascolto davanti al computer mentre scrivo. Non posso farne a meno: è come se regolasse il mio bioritmo, mi mettesse in risonanza con il mondo. E ascolto davvero di tutto: dal metal, al rock, fino alla fusion e al jazz. Sono alla costante ricerca di nuove sonorità perché la musica è stimolante.
Non mi posso definire un musicista, perché non ne ho le capacità. Suono (male) la chitarra, sia elettrica che acustica, e ho fatto parte di un po’ di band, fin dai tempi del liceo. Con una, i Ferryboats, addirittura, registrammo una specie di Demo, in presa diretta dal salotto di casa del cantante. Non avevamo neanche un batterista e campionammo i suoni con la tastiera. Per puro caso, ho riascoltato i pezzi un po’ di tempo fa: erano osceni. Ma quanto ci siamo divertiti.
Questo è quello che ho cercato di trasmettere con le pagine del mio romanzo dedicate alle prove: il divertimento che esplode a ogni ritornello, la passione che ogni ragazzo o ragazza ci mette dentro: perché la verità è che a sedici anni, quando imbracci uno strumento, lo suoni davvero con il cuore.
L'idea dell'artista che fa un patto con il diavolo per ottenere il successo è utilizzata in moltissime storie diverse, cosa ti ha spinto a utilizzarla a tua volta e che cosa hai fatto per cercare di rendere la tua versione più fresca e interessante?
Il patto con il Diavolo è solo l’inizio e la cosa bella è che, nonostante l’atto deplorevole del vendere la propria anima, le cose stanno andando anche relativamente lisce. David e i ragazzi sono davvero a un passo dal realizzare il proprio sogno (consapevolmente o meno) e non hanno nessuna intenzione di incasinare le cose. Ed è qui che inizia Shout at The Devil, quando tutto prende una piega davvero inaspettata che porta all’estremo l’affermazione: non si ruba al Diavolo.
David Roxy e Stefano, i membri rimanenti dei Dawn of Destruction, diventano gli emissari del Diavolo. Il patto li vincola e li obbliga a seguire i suoi ordini e si ritrovano in missione per conto del Diavolo, per parafrasare i Blues Brothers.
David non è un protagonista classico, ha parecchi difetti e durante lo sviluppo della storia risulta essere spesso il peggior nemico di sé stesso. Com'è nato il suo personaggio? Cosa ti ha portato a delinearlo in questo modo?
Come nella migliore tradizione romanzesca, David è nato una pagina alla volta. L’ho visto per la prima volta (per modo di dire!) suonare in un pub, pieno di entusiasmo, intento a imitare i gesti dei suoi idoli rock preferiti: solleva la chitarra sulla testa tenendola per il manico, proprio come fa Mark Knopfler alla fine dei concerti di Dire Straits. E dopo questo momento di luce estrema, sono iniziate le ombre: David sembra uno pragmatico, deciso, ma in realtà è sfiduciato, insicuro, tanto da perdere quasi tutto per imboccare la via “facile” verso il successo.
Non riesce a capire che avere talento e bravura non sono l’unica prerogativa per vincere ed emergere: sono solo strumenti e armi che si devono usare per combattere fino alla vetta. Questo è il nocciolo della questione e tutto il romanzo è costruito in maniera allegorica su questo assunto. Anche lo stesso finale (che non vi rivelo!) riferisce a questo tema.
È come cantavano gli ACDC: It’s a long way to the top, if you wanna rock’n roll. E sono sicuro che leggerete queste righe cantandole con la voce di quel pazzo di Bon Scott!
Nel romanzo viene anche affrontata marginalmente la questione dell'occupazione scolastica e dei movimenti giovanili. Sbaglio o è presente una velata critica a questo tipo di iniziative?
Non è una vera e propria critica: quel periodo storico e sociale l’ho vissuto sulla mia pelle. Ho dormito nel mio liceo (scientifico!) occupato, ho partecipato a assemblee, marce e cortei, ho scritto slogan (dimenticabili) e poster che avrebbero dovuto incitare alla rivoluzione. Insomma, come tutti i ragazzi di quel momento, mi sentivo un piccolo Che Guevara, anche se non avevo veramente idea di chi fosse davvero il Che.
È stato un periodo strano, sotto molti aspetti: non era una vacanza, ma non ha dato neanche tutti quei frutti che ci aspettavamo. È mancata quella incisività e quella cattiveria che invece si sono avute in altri momenti storici. Non chiedetemi il motivo, non sono un sociologo.
Per me, è stato sicuramente un momento di crescita, ho capito che si può fare qualcosa, ma soprattutto che è estremamente difficile far cambiare le cose. Più che una critica, è una visione nichilista e disincantata, ma non necessariamente negativa. Il messaggio è che bisogna davvero rimboccarsi le maniche e non cedere mai.
Il libro è ambientato negli anni '90 e i riferimenti alla cultura, più o meno, pop dell'epoca sono svariati e sparpagliati in modo intelligente tra le pagine del romanzo come piccoli easter egg. La scelta di questa ambientazione è arbitraria o frutto di una certa nostalgia per chi quegli anni gli ha vissuti?
Adoro gli anni Novanta, molto ma molto più degli anni Ottanta. C’è stato un tale fermento in quel periodo: usciva musica fenomenale totalmente diversa dai soliti canoni, c’erano film al cinema che spaccavano di brutto, Stephen King era ancora nel suo momento migliore. Cosa si poteva volere di più?
La scelta di quel periodo però non è stata arbitraria, ma dettata dalla scena musicale giovanile del momento. Si era a metà strada tra le audiocassette che circolavano per posta negli anni ‘80 e l’avvento di MySpace e la distribuzione della musica e della promozione via internet (dopo il 2000). Era importante andare a suonare nei pub e cercare di entrare in alcuni giri per farsi conoscere (esattamente come adesso), ma con l’onere di affidare la maggior parte della comunicazione al passaparola.
Il romanzo è ambientato in un paesino sconosciuto e senza nome, piccolo e che offre davvero poche possibilità, decadente per certi versi, in cui David si sente costretto e incatenato. La sua unica possibilità (almeno nella sua testa) è quella di lasciarsi trasportare dalle note della sua chitarra.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Stai già lavorando a qualche nuovo romanzo? Hai qualche anticipazione su storie future?
E in uscita Villains, l’altra faccia delle fiabe, una antologia di racconti che contiene una mia storia di cui sono molto orgoglioso.
Sono nelle fasi finali di revisione e riscrittura di un romanzo breve molto oscuro: una storia d’amore nera e disperata. E soprattutto sto completando la struttura di un romanzo dedicata a uno dei personaggi di Shout At The Devil, quello che mi ha stregato fin da quando ne ho scritto la prima volta. Non vi dico chi è, anche se non è difficile capirlo, quando leggete il libro. Non è un seguito vero e proprio, lo sto mettendo in piedi per essere letto singolarmente, e la cosa mi sta entusiasmando non poco.
Se invece parliamo di cose che si stanno concretizzando, ma che sono ancora in fase un po’ più embrionale: ho buttato giù sinossi e qualche capitolo di una storia weird sul Natale: vi dico solo che il protagonista si chiama Emminki (è un nome finlandese realmente esistente!) ed è tutto dire.
C’è tanta carne al fuoco.
Shout At The Devil
Il libro
David è disposto a tutto pur di portare i Dawn of Destruction al successo, anche a fare un patto con il diavolo. Con l’aiuto del suo migliore amico Johnny, vende la sua anima e quelle del resto della band per ottenere la vittoria del Music Heroes: il più importante contest musicale per gruppi emergenti.
Un incidente inaspettato però stravolgerà i suoi sogni di gloria e l’unico modo per risolvere la situazione sarà andare in missione per conto del Diavolo, cercare un’anima perduta e svelare i segreti più reconditi dell’inferno.
I Dawn of Destruction percorreranno strade pericolose, faranno incontri letali e affronteranno orrori indicibili. David dovrà ricorrere a tutte le sue forze per tenere unita la band, proteggere l’amicizia che lo lega a Roxy e Stefano, e gestire il suo primo amore. Nel mentre scoprirà quanto è alto il prezzo del successo e se davvero vale la pena pagarlo.
Una girandola di orrori e irriverenze shakerate con decibel di rock e una generosa dose di ironia dissacrante.
L'autore
Eugene Fitzherbert è un essere vivente parzialmente inventato nel lontano 1978 e diventato anestesista rianimatore solo per potersi lamentare degli errori medici nei film.
Ha partecipato a varie pubblicazioni indipendenti, ha curato la rubrica Scriptabilia per la rivista Arcobaleno, in cui ha rielaborato il folklore del suo paese di origine (la Terronia) in chiave horror. Per il portale Stay Nerd, ha scritto centinaia di articoli sui temi più disparati, dai videogame fino al sesso a gravità zero. Ha vinto diverse volte il contest “La Sfida a…” ospitato da Minuti Contati. Fa parte della redazione di Penne Arruffate e partecipa ai loro video per dire il maggior numero di parolacce consentito dalla legge. Ascoltatore di musica metal giapponese e mastro birraio da garage, vive in gattività con l’Imperatrice e sei felini dai nomi strani che camminano sulla tastiera contribuendo alle sue pagine migliori.
Eugene Fitzherbert, Shout At The Devil , Delos Digital, Odissea Wonderland 33, isbn: 9788825420296, ebook formato kindle (su Amazon.it) o epub (sugli altri store) con social drm (watermark) dove disponibile , Euro € 5,99 iva inclusa
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