Premessa doverosa: difficilmente arriverete a questo libro senza aver letto i due romanzi che precedono L'oscurità profana, terzo e conclusivo volume della trilogia Cosa resta degli eroi, scritta da Richard K. Morgan.
Per cui dando per scontato che avete letto o la prima edizione, o l'edizione Mondadori dei romanzi L'acciaio sopravvive (noto anche come Sopravvissuti) e Il gelo comanda (Esclusi), ci catapultiamo al centro dell'azione.
In ogni caso non farò spoiler, perché se doveste leggere questa recensione senza aver letto i primi due, la cosa che vi consiglio è di prendere tutti e tre i volumi, che Mondadori ha pubblicato contemporaneamente, e leggerli, ma prima potreste anche voler desumere da questa recensione perché.
I tre personaggi che abbiamo conosciuto nei due precedenti romanzi, la scienziata kiriath Archeth Indamaninarmal, il guerriero majak Egar Rovina del Drago e il guerriero nobile ripudiato Ringil Eskiath, sono nel mezzo di una ricerca le cui basi sono state fondate in Il gelo comanda.
Siamo in un momento difficile della ricerca. Quello che sembrava a portata di mano, dopo aver ottenuto i finanziamenti e il supporto imperiale per andare fino alle lontane isole Hironish, sembra sfuggire. Sono passati cinque mesi senza alcun risultato.
Ringil si separa dagli amici ed ex compagni d'arme per seguire una pista, e da quel momento in poi le cose precipiteranno. Le trame dei loro nemici, i Dwenda, cominceranno a delinearsi, e le varie pedine di un gioco più grande si muoveranno.
Con il suo stile pieno e dettagliato, Morgan racconta una storia che non è solo densa di eventi, ma anche di retroscena, di dettagli sempre più approfonditi sul mondo narrativo che ha creato.
Non manca l'approfondimento dei personaggi. Ognuno dei personaggi dovrà affrontare il nemico peggiore: se stesso, le proprie paure, le proprie incertezze.
Volutamente non ho chiamato "eroi" il trio dei protagonisti. Non perché in questo come nei precedenti essi non compiano azioni eroiche, ma perché l'anti-retorica di Morgan sfugge a queste definizioni.
In tutta la trilogia non ci sono manichee linee di demarcazione tra bene e male. Come non ci sono eroi, non ci sono neanche i "cattivi" nel senso che comunemente si può intendere. Dal loro punto di vista, i Dwenda sono gli eroi della loro storia.
Come è giusto che sia in volume conclusivo, ci saranno battaglie, conclusioni inaspettate, lutti, ricongiungimenti e ritorni a casa. La differenza è sempre nel come le cose vengono raccontate.
Morgan riprende tutti i suoi stilemi: sesso, sangue, giochi di potere, commistione e compenetrazione tra generi.
Ricorda il noir hard-boiled quando approfondisce il cuore nero dei suoi personaggi, l'high fantasy nel momento in cui li lancia verso la loro ricerca, la fantascienza quando li fa interagire con manufatti che non sanno come descrivere, mostrando quindi una scienza indistinguibile dalla magia.
Tirate le somme, là dove i precedenti romanzi erano stati forse troppo parchi di dettagli sul mondo nel quali i personaggi vivono, questa volta Morgan non ne lesina. Non solo per chiudere quanto aperto in precedenza, ma anche per lanciare appigli ad altri suoi mondi narrativi, come spiega il traduttore Edoardo Rialti nella sua postfazione.
Forse non tutto sarà spiegato, non tutto alle fine è definito, qualcosa è rimasto sfumato, non detto. Non so se sia per lasciarsi la porta aperta verso altri romanzi, o semplicemente perché, anche in letteratura, come nella vita, non sempre ci sono tutte le risposte.
Questi personaggi, nel bene e nel male, sono arrivati alla fine del loro percorso. Un viaggio che è stato bello concludere, dopo tanta attesa.
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