Brutta giornata per Maigret. Dopo la reprimenda del suo medico per le condizioni di salute, si trova davanti il corpo di una giovane ragazza, senza documenti o indizi sulla sua identità. Ma quando conosce una ragazza che sembra avere una somiglianza con la vittima, in lui scatta qualcosa. Inizia pertanto una meticolosa indagine, con ritmi lenti e flemmatici ma inesorabili, che lo porterà a districarsi un labirinto di indizi, fino alla identificazione di vittima e colpevole.
Maigret, scritto e diretto da Patrice Leconte, è l'adattamento di Maigret e la giovane morta, uno dei settancinque romanzi con protagonista il commissario di polizia ideato da Georges Simenon. In originale il film aveva lo stesso titolo del romanzo, troncato invece dalla distribuzione italiana. Un romanzo già adattato in alcune delle trasposizioni televisive estere, ma non dalla famosa versione italiana con Gino Cervi e regia di Mario Landi, prodotta da Andrea Camilleri.
Più che del Maigret di Gerard Depardieu, si può parlare di un Maigret trasformato in Depardieu. Leconte, con una regia misurata e scolastica, accompagnato con maggiore creatività dalla crepuscolare fotografia di Yves Angelo, lascia campo libero all'attore che ne fa una cosa propria, senza mai fare vedere il personaggio. Ne viene fuori una messa in scena che se pur credibile sulla ricostruzione d'ambiente, non ha verità o spessore.
Monocorde e poco strutturata, coperta da una regia che mira più a evidenziare la loro somiglianza che le differenze, risulta l'interpretazione delle giovani attrici, da Jade Labeste alla vittima Clara Antoons, fino alla probabile indiziata Mélanie Bernier. Pregevole senza dubbio Anne Loiret nel ruolo della Signora Maigret, sacrificata da linee di dialogo banali.
Il noir è un genere che scava nell'animo umano, partendo in questo caso da un delitto. Il percorso che porta Maigret alla scoperta del mistero è anche un viaggio nel cuore nero di chi dà scarso valore alla vita umana. Condotto però con tale freddezza, non coinvolge e non emoziona più di tanto lo spettatore, che ha sempre la sensazione di trovarsi dietro un vetro, mai coinvolto.
Il risultato è un'operazione curata, ma senza anima, mai veramente coinvolgente. Un'occasione perduta per proporre un testo che, nel suo minimalismo, riusciva invece a essere graffiante e disturbante.
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