I duelli tra autori e studiosi del fantastico sono ormai tra gli appuntamenti più amati del Lucca Comics & Games: il pubblico, infatti, coinvolto attivamente, parteggia a colpi di voti per i propri beniamini e per ciò che essi rappresentano. Nell’auditorium della Fondazione Banca del Monte, questa volta, si sfidano due tra i più noti autori fantasy italiani, Licia Troisi e Francesco Dimitri, sotto l’accorta conduzione dell’arbitro Anna Benedetto, che ormai da anni organizza e gestisce queste divertentissime sfide.
Il compito per il pubblico sarà improbo, la decisione ardua: chi, tra Edgar Allan Poe (difeso da Licia Troisi) e Dino Buzzati (paladino di Francesco Dimitri) è più blu? Chi tra i due, insomma, rappresenta al meglio la tristezza?
La prima domanda verte proprio sul perché della scelta di questi due autori, che non sono stati imposti dall’organizzazione ai due partecipanti, ma sono stati selezionati come rappresentativi della categoria tristezza dai loro difensori.
Per Licia Troisi, la scelta è obbligata: pur essendo arrivata tardi al fantasy (grazie alla mediazione di Marion Zimmer Bradley o J.R.R Tolkien), aveva già divorato il fantastico proprio attraverso le antologie di racconti di Edgar Allan Poe. E infatti, come segno di devozione nei confronti di questo autore, così importante per la sua formazione, ecco che la sua ultima protagonista si chiama proprio Poe (no, non c’è nessuna influenza dell’automa portinaio dell’albergo della serie Altered Carbon).
Per Francesco Dimitri, il blu della sfida ha delle implicazioni profonde: è uno dei colori della speranza ed è il colore dell’elemento acqua nella tradizione magica, un elemento profondamente connesso con le emozioni. Buzzati è un ottimo rappresentante sia delle emozioni che, in particolare, della tristezza. Dimitri ci ricorda che nel 1971, una recensione alla sua ultima raccolta di racconti a firma di Giorgio Bocca aveva bacchettato Buzzati perché, ancora, si perdeva dietro a favole. Il nostro autore, dunque, che anticipa il New Weird di almeno sessant’anni, vive isolato in un’Italia provinciale (e per larga parte della sua vita e della sua esperienza professionale anche fascista), riuscendo a portare la forza che possiamo definire punk del fantastico, ma venendo etichettato come reazionario. Cosa c’è di più triste di questo?
Primo punto a Dimitri, e palla al centro.
La seconda domanda è ancora centrata sul tema portante, la tristezza: cosa fa piangere di più nei due autori?
Licia Troisi scava tra i capolavori della produzione di Poe e ci guida attraverso le emozioni che ci attanagliano leggendo Il Pozzo e il Pendolo: un protagonista ignaro di dove si trova, consapevole solo di essere stato condannato a morte dall’Inquisizione, senza nemmeno conoscere le modalità di esecuzione di tale condanna. Cosa ci fa piangere più della consapevolezza che l’orrore è dentro di noi?
Anche Francesco Dimitri indaga tra i racconti di Buzzati: ne Il Tiranno Malato, un cane, che terrorizza il quartiere, immagine del tiranno, viene ucciso al primo segnale di debolezza da due rivali. È la sconfitta della tirannide o un monito a non diventare quello che combattiamo? Ma non si limita solo alla narrativa: in un’intervista, Buzzati aveva espresso il profondo desiderio di poter credere (agli UFO, in particolare): la sua è la tristezza di chi fallisce, consapevole che però il provare è meraviglioso.
Difficile resistere a un racconto come Il Pozzo e il Pendolo: Troisi segna il punto del pareggio.
Terzo round: cos’hanno di iconico questi autori?
Licia Troisi riflette sul termine iconico, un termine che non ama, ma che sembra sottintendere la capacità di un autore di lasciare ai lettori qualcosa che supera l’età in cui ha vissuto, perché è riuscito a toccare corde profonde. E questo in Poe è evidente: un orrore non esplosivo, sempre sotterraneo, che non può essere evitato. È perturbante, questa letteratura che ci fa capire come la mostruosità sia dentro di noi.
Francesco Dimitri, che condivide con Licia Troisi una certa antipatia per il termine iconico, ci ricorda come possiamo intendere l’icona in due modi: come qualcosa di morto o come qualcosa di bidimensionale. Buzzati è tridimensionale, seppur incapace di stare al mondo (sentimento probabilmente condiviso da una parte importante della platea): cerca di suggerirci che forse sarebbe il mondo a dover stare al passo con noi e quindi ci parla della sensazione di profondo orrore suscitato dal mondo, una sensazione che ci è ben nota. I suoi racconti sul piccolo magico quotidiano ci ricordano l’umanità del magico e della stranezza dell’universo. E la scelta della realtà della campagna va in questa direzione: in città possiamo contrastare l’orrore del mondo coprendolo di rumori e di luci, mentre in campagna non c’è nulla che ci possa proteggere.
Ottimo tentativo, ma Poe si porta in vantaggio. È il punto del 2 a 1.
Riuscirà Dimitri a portarsi sul pareggio o la vittoria sarà assegnata a Poe con un turno di anticipo?
Quarta domanda: Perché il mostro è triste?
Licia Troisi ci ricorda che il mondo è triste perché è un disadattato, ed è eccezionale rispetto alla norma, cioè a quell’insieme di regole o di costumi che creiamo in quanto esseri sociali, e da cui possiamo essere inclusi o esclusi. Ma la mostruosità è un superpower, ci ricorda Licia Troisi, la nostra eccezionalità in un mondo che ci vuole tutti uguali. Mostro, non essere triste per la tua eccezionalità!
Francesco Dimitri è d’accordo, e porta come argomentazione il primo e più famoso mostro che esemplifica la solitudine e la tristezza del mostro, quello di Frankenstein, diventato orrorifico perché spinto a questo. Se il mostro è cacciato dalla società, non è forse meglio ascoltarlo, e tornare a renderlo parte della società stessa, per abbatterne la pericolosità? Da bambini, dopotutto, siamo tutti un po’ mostri, diversi tra di noi, particolari, e poi uniformati dalla società: dovremmo, però, riuscire a essere abbastanza mostruosi da giocare a stare al mondo alle nostre regole, e non a quelle di altri.
L’oratoria di Dimitri, e il riferimento a Frankestein, gli assegnano il punto del pareggio.
E quindi, ci si gioca tutto con l’ultima domanda: perché, a maggior ragione, Poe o Buzzati devono vincere la palma di autore blu?
Licia Troisi ci racconta la vita (e soprattutto la morte) di Edgar Allan Poe: una morte giovane, da disadattato e alcolizzato, che rappresenta chi non riesce o non vuole adeguarsi a un mondo che può essere tanto meraviglioso quanto tremendo.
Francesco Dimitri non può che sottolineare la sintonia tra Buzzati e Poe, che è emersa sostanzialmente in tanta parte dello scontro. Anche Buzzati era un perdente che non ci sapeva fare nella vita. Poco prima di morire, riconosce la sua sconfitta: abbandona la scena davanti a un pubblico pagante che a lui non ha mai regalato un gettone.
Davanti a due perdenti, è possibile assegnare la palma a un vincitore? È Francesco Dimitri a suggerire la soluzione: perché non possono essere entrambi, come sempre, perdenti? E così, tra scroscianti applausi, si chiude la sfida: come nelle loro vite, entrambi possono aggiungere questa sconfitta al loro elenco di non trofei.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID