Se siete appassionati di cinema, è obbligatorio vedere Oppenheimer. Anche se siete appassionati di fisica, o di meccanica quantistica, o di storia della filosofia politica, o di politica, o di guerra, in particolare delle basi di ciò che sarebbe diventata la guerra fredda.
Oppenheimer, diretto da Christopher Nolan, è maestoso, una delle grandi narrazioni, tipiche di Nolan. Gli attori sono bravissimi, in particolare Cillian Murphy, che ancora una volta dà prova di capacità di immedesimazione e analisi del difficile personaggio: Oppenheimer, scienziato fondamentale per lo studio delle proprietà delle particelle elementari e la direzione del progetto Manhattan. La recitazione di Murphy, asciutta, senza sbavature fa emergere la complessità dello scienziato sia delle sue aspirazioni, sia delle sue crisi di coscienza, superate grazie all’ambizione e alla "lealtà americana" (la lealtà a chi paga
avrebbe detto il meraviglioso Abe Weissman della Fantastica Signora Maisel).
Bravissimo anche David Krumholtz, che interpreta Isidor Rabi, l’amico del protagonista, che rifiuta di far parte del progetto Manhattan, pur offrendo la sua collaborazione (insomma, come dire: non ci lavoro direttamente, ma resto nel giro).
Superlativo Robert Downey Jr, nel difficile ruolo di Lewis Strauss, che all’epoca del primo incontro con Oppenheimer, era il direttore dell’Istituto di studi avanzati di Princeton, dove c’era anche Einstein e altri scienziati. Strauss non aveva fatto studi accademici e questo gli dava un senso di inferiorità e di rivalsa nei confronti di tutti quegli scienziati, ma non gli impedì di riconoscere l’uomo perfetto come catalizzatore di quel complesso progetto.
Se è vero che è l’uso del mezzo, e non il mezzo stesso, incriminabile, è pur vero che la responsabilità delle scoperte esiste. Proprio per questo Nolan cita il titolo originale del libro -vincitore del Premio Pulitzer-, di Kay Bird e Martin J. Sherwin, a cui si è ispirato e che definisce Oppenheimer come Prometeo americano. Purtroppo, però il novello Prometeo rifletterà successivamente sulle conseguenze di ciò che fu realizzato e dedicherà tutta la vita successiva a limitare i possibili danni (diciamo pure le catastrofi e la fine del mondo), legati alla scoperta delle reazioni atomiche. Probabilmente Nolan avrebbe dovuto chiamarlo Epimeteo, ma non avrebbe sottolineato l’assolutezza (in senso proprio di ab-soluta, slegata, indipendente) del pensiero di Oppenheimer, che si concentrò sui processi, più che sulle conseguenze. Solo a cose fatte, il fantasma della Morte si presentò per giocare la partita a scacchi. Ma ormai era troppo tardi, ormai gli interessi economici, la voglia di rivalsa contro i terribili nemici sovietici, il terrore comunista, erano talmente radicati e fondativi della cultura USA, e quindi occidentale, che non ci poteva essere un ritorno.
Il film ha indubbiamente dei meriti tecnici: la creazione di una pellicola in bianco e nero IMAX di 65 mm, voluta dal direttore della fotografia Hoyte van Hoytema -che aveva già collaborato con Nolan per Interstellar, Dunkirk e Tenet- e dallo stesso Nolan, per dare risalto alle scene il cui punto di vista è quello di Lewis Strauss; la fotografia, che offre i grandi spazi geografici e dell’animo, un western sulla psiche del protagonista. Anche la musica di Ludwig Emil Tomas Göransson è epica, alternando momenti di asciuttezza e grandiosità e la regia stringente, pulita, rigorosa. Parliamo di maestri del cinema.
Purtroppo, è la gestione della trama a traballare (come in molti film di Nolan, non ultimo il già citato Tenet): il film diventa un po’ confusionario nel terzo atto, quando, dopo l’esplosione, si devono tirare le fila e si arriva al rifiuto, quasi al rinnegamento, dell’utilizzo della bomba atomica da parte del protagonista. Ormai il danno era fatto e gli USA furono e sono stati l’unico paese (per fortuna) a usare la bomba in guerra, con le conseguenze a tutti noi note. Come già detto, il protagonista spese tutta la restante parte di vita a sensibilizzare sui pericoli, ma a nulla è valso il suo sforzo, anzi è stato identificato come possibile pericolo per la tenuta dello status sociale e politico, perciò fu escluso dai successivi sviluppi.
Peccato però che questa parte sia stata molto poco indagata, la volontà era mostrare la grandiosità di quel gruppo di lavoro, che ha stravolto il mondo. Come dice Hannah Arendt in Vita Activa: se lo stato moderno nasce nel ‘6/’700, il mondo moderno nasce con la bomba e con Hiroshima e Nagasaki. L’altro problema è Nolan, la sua enfasi, la sua volontà consolatoria: non si può essere perdenti ed essere persone valide. Bisogna essere eroi, per forza. E di ciò risentono tutti i suoi film, purtroppo. L’epica degli ‘mmericani so’ forti è una caratteristica di tutti i suoi film, da Interstellar a Dunkirk. Un britannico più americano degli americani.
Nonostante l’enfasi, nonostante la gestione della trama non sia perfetta, il film merita, sia da un punto di vista storico, sia come intrattenimento, sia come (cosa forse più importante) riflessione sulle responsabilità personali.
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