Sono trascorsi due anni dal suicidio della madre ma Mia non riesce ancora a superarlo. Il rapporto con il padre si è deteriorato e fa fatica a rimanere con lui, per questo trova sempre più spesso rifugio a casa della sua amica Jade e del fratellino Riley. Per distrarsi Mia decide di partecipare a una festa che ha come evento principale una seduta spiritica, dove stringendo una mano di ceramica si è posseduti da uno spirito. Hayley e Joss, i due ragazzi che possiedono la mano dicono che è assolutamente sicura, basta non superare i novanta secondi di contatto, infatti, se gli spiriti rimangono troppo in un corpo non vogliono più abbandonarlo. Qualcuno naturalmente si spingerà oltre.

I due giovani youtuber australiani Danny Philippou e Michael Philippou diventati famosi per il loro canale di video splatter, possono vantare un produttore del calibro della A24 per il loro primo film Talk to me. Il passaggio al Sundance Film Festival e le critiche quasi sempre positive hanno permesso a questo teen horror di arrivare in sala creando un’aspettativa altissima. D’altronde la A24 ha prodotto o distribuito quasi tutti gli autori di horror di maggior interesse degli ultimi anni da Ari Aster, a Ti West, Garland a Eggers, e per questo la pellicola dei due gemelli Philippou ha ricevuto grande interesse anche da parte della critica, emancipandosi dal mondo degli horror dedicati a un pubblico di adolescenti, di solito di pessimo livello.

Diciamolo subito, chi vi scrive non crede che Talk to me sia un capolavoro e neppure un film particolarmente interessante. I Philippou riescono a creare un prodotto un po’ sopra la media del sottogenere solo quando si tratta di scrivere i dialoghi e nella scelta del cast, riuscendo a ritrarre in maniera credibile quella che è la loro generazione, ed evitando i siparietti comici. Si può dire anche che se la cavino senza però mai brillare anche nella messa in scena, evitando jumpscare e creando un’atmosfera, sia tramite le inquadrature che con la fotografia, che riesce a mascherare un budget limitato. Per il resto il film fila su binari così dritti e prevedibili da far sperare in ogni momento che lo spettatore venga ingannato proprio da un uso standard dei cliché, cosa che purtroppo non è. Il problema principale sta in una sceneggiatura così didattica che, dove voglia andare a parare Talk to me, è persino spoilerato in una scena all’inizio del film.

Neanche il tema della possessione, qui virata in chiave di dipendenza quasi fosse una droga con cui gli adolescenti si sballano, è particolarmente originale. Quali siano esattamente gli effetti piacevoli di chi viene posseduto non è dato sapere, anzi si vedono solo quelli spiacevoli (vedi scena del cane). Le conseguenze per chi prova il toccare la mano non implicano prese di coscienza morale, come invece accadeva in It Follows quello sì un teen dramma davvero originale, perché basta non superare i novanta minuti e non succede nulla di male. La mano di ceramica non è altro che una variazione della classica tavola ouija, e l’elemento horror non va mai oltre a un’atmosfera inquietante non riuscendo a sfociare nella paura il che, associato a un finale largamente prevedibile per chi abbia visto anche solo un paio di film, finisce per annoiare.