Più o meno un secolo fa, nel territorio della Nazione Osage, in Oklahoma, Stati Uniti d'America, viene trovato il petrolio. La ricchezza che investe la popolazione nativa suscita la cupidigia di una intera nazione, nonché l'invidia degli "uomini bianchi". Tanto che i civili cittadini di Fairfax ordiscono un complotto per privare i nativi delle loro ricchezze, ricorrendo all'inganono in vari modi: ricatto, prestito a usura, omicidi, matrimoni combinati con donne native.
Organizzatore di questo complotto è il notabile locale William Hale (Robert De Niro) che, tra le tante trame che ordisce, convoca a Fairfax suo nipote Ernest Burkhart (Leonardo Di Caprio), convincendolo a corteggiare e sposare la giovane Mollie Kyle (Lily Gladstone), la quale possiede, insieme alle tre sorelle e la madre, una delle più ricche concessioni. Lo scopo finale è quello di uccidere la donna, la madre e le sorelle per fare ereditare a Ernest tutti i loro beni.
Ma le morti dei nativi non possono passare inosservate. Sentendosi sotto attacco gli Osage riescono a convincere il governo federale a inviare una squadra della nascente FBI di J. Edgar Hoover, per indagare sugli eventi.
Ernest diventerà un testimone chiave dell'inchiesta e, messo alle strette dall'agente Tom White (Jesse Plemons) dovrà decidere tra il restare fedele allo zio o salvare la vita della moglie e dei suoi figli deponendo in tribunale.
Martin Scorsese dirige l'adattamento di un libro best-seller di David Grann del 2017, pubblicato in Italia con il titolo Gli assassini della terra rossa, e il cui titolo originale è molto significativo di cosa vuole raccontare: Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI. Da un lato tratta di un periodo in cui il suprematismo bianco affiora, nella crisi del primo dopoguerra del XX secolo (degli stessi anni è il massacro di Tulsa, citato nella serie TV Watchmen), e di come nacque l'esigenza di fare rispettare agli stati più riottosi le leggi federali, con una polizia che avesse una giurisdizione più ampia di un singolo stato.
Il tema del passaggio dal mondo dell'800 alla modernità era centrale anche in Gangs of New York dello stesso Scorsese, ma non è l'unica linea narrativa del film. Centrale nella visione delle sceneggiatura sono gli enormi torti subiti nel secolo precedente dai nativi americani, la cui eco ai primi del '900 era ancora ben presente, con i più anziani che ricordavano i periodi delle persecuzioni più feroci e che fomentano i più giovani a non arrendersi in modo diverso dal passato, con la legalità di uno Stato che li protegga.
Un percorso di riconoscimento tutt'altro che facile, vista la resistenza dei discendenti dei coloni a non considerare propria una terra che è invece solo frutto di appropriazioni coatte.
Nella trasformazione da inchiesta giornalistica a sceneggiatura cinematografica, in Killers of the Flower Moon gli eventi reali sono raccontati con una vicenda drammatica centrale di forte impatto, con in primo piano le vicende umane, e sullo sfondo il quadro storico e culturale.
Il percorso di Ernest è un arco narrativo completo, di drammatico coinvolgemento e di acquisizione di consapevolezza, di redenzione ed espiazione, parallelo e divergente da quello di Mollie, dapprima incredula di fronte al male che sta subendo, e poi attiva nel combattere con tutte le sue forze, riuscendo a resistere fino al momento in cui purtroppo l'aiuto non può che arrivare all'esterno del sistema che la avvolge come una spirale, stritolando e distruggendo tutto il suo mondo.
Per rendere giustizia alla vicenda della Nazione Osage Scorsese imbastisce una narrazione di ampio respiro, nella quale nessuno dei 207 minuti del film appare superfluo. Necessari sono quindi gli ampi spazi del west, con sprazzi del "vecchio e selvaggio west" che resistono inutilmente alla modernità, con campi larghi, quando non larghissimi. La camera di Scorsese poi vaga con i suoi misurati piani sequenza a scrutare tra i personaggi, soffermandosi nelle loro dinamiche con campo/controcampo talvolta nervosi, talvolta flemmatici nel voler evidenziare la riflessività dei protagonisti nativi, per nulla inclini, al contrario dei bianchi, a essere affrettati.
Maiuscole sono le prove attoriali, dei protagonisti, come Di Caprio, De Niro, Gladstone e Plemons, ma non passa inosservato nessuno dei comprimari, sia nativi che bianchi.
Killers of the Flower Moon è grande, grandissimo cinema, pensato per la dimensione del grande schermo, per immergere e appassionare gli spettatori a una storia che induce a profonde riflessioni, alla luce di un momento storico di riflusso di suprematismi e nazionalisimi che si stanno drammaticamente riprendendo il posto nell'attualità, quando avrebbero dovuto rimanere confinati nel passato della storia.
Un grande film, da vedere.
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