Nicola Peruzzi, coordinatore editoriale di Panini Comics, modera un’interessante “intervista doppia” a Emiliano Pagani e Garth Ennis sul tema della rappresentazione della violenza nei fumetti, di cui sono entrambi a loro modo maestri.
Pagani, dopo la collaborazione con Il Vernacoliere, ha realizzato con Daniele Caluri (“I Paguri”) ha realizzato tra gli altri i grotteschi Don Zauker e Nirvana; con Bruno Cannucciari i più riflessivi e drammatici Kraken e Stagione di caccia.
Il passaggio dal tono grottesco a quello drammatico – racconta – non è poi così difficile: il grottesco è il tragico spinto all’estremo, in cui la violenza è funzionale alla ricerca di qualcosa che scuota la coscienza del lettore: la letteratura e l’arte in generale non devono essere consolatori (“se cerco conforto, accarezzo il mio cane”, è la chiosa efficace).
Ennis è il creatore di personaggi che spesso – commenta Peruzzi – sembrano non calzare esattamente nell’universo in cui sono ambientate le loro vicende: Tommy Monaghan (Hitman), Jesse Custer (Preacher), Billy Butcher (The Boys) sono personaggi “rotti”, ma sono a loro modo degli eroi.
Ma c’è una differenza tra loro – replica l’autore: Jesse Custer è un lead character da western, guida gli eventi, esattamente l’opposto di Tommy Monaghan che invece si trova immerso nelle situazioni, le cose gli capitano. Butcher è un altro caso ancora, quello di un predatore che vede le altre persone come bersaglio, o come persone da sfruttare per colpire i bersagli: è la personificazione dell’idea per cui le persone cattive distruggono il mondo e solo altre persone cattive lo possono riaggiustare.
Qual è il segreto per scrivere una storia fumetti violenta, in cui però la violenza non sia gratuita ma funzionale alla storia?
Pagani: il segreto è avere innanzitutto una storia, introducendo un elemento di caos in un ambiente normalmente tranquillo. In Don Zauker questo contesto di riferimento è la religione cattolica: si tratta di approfittare della fede di molte persone per sfruttarle, e di farlo nel modo più dirompente possibile per scatenare le reazioni dei personaggi di contorno; la violenza non è solo un divertimento (per l’autore e per il lettore), ma serve a portare all’estremo le reazioni dei personaggi di contorno.
Ennis: è una di quelle cose che dipendono dalla storia che stai raccontando. A volte vuoi che sia assurda e grottesca, iperbolica e comica; altre vuoi una violenza che sia drammaticamente reale, un pugno nello stomaco del lettore. Il miglior esempio possibile è in due film di Peter Jackson: Bad Taste e Heavenly Creatures [Creature del cielo]: stesso regista, stesso narratore, uso completamente diverso della violenza, ma in entrambi i casi estremamente appropriato.
Siete entrambi autori di genere: che cos’è per voi il fumetto, la narrativa di genere, il genere letterario?
Ennis: “genere” è solo un termine utile per definire quello che stai scrivendo, ma in realtà un’opera può essere identificata da molti generi. Ad esempio Preacher per me è un western, ma ci sono elementi del thriller, del noir, etc., perciò è più difficile da spiegare (e da vendere) rispetto a The Boys che, al contrario, si definisce in una sola riga.
Pagani: il genere è quello che ti permette di divertirti mettendo in un fumetto (o in una storia in generale) quello che non faresti mai nella vita; ed è una cassetta degli attrezzi per raccontare quello che vuoi.
Siete due autori che lavorano molto con temi forti, fin dall’inizio della vostra carriera; quanto è stato difficile per voi lavorare nel mercato con questa idea ben chiara in testa?
Pagani: i primi fumetti ce li siamo prodotti da noi perché non li voleva produrre nessuno e nonostante la censura da parte della stampa, anche specializzata; poi quando hanno avuto successo di pubblico gli editori si sono inseriti “come avvoltoi”. Sfondata questa barriera è stato più semplice, potendo sfruttare la credibilità che ci eravamo costruiti da soli. Tuttora non è facile trovare editori che ti spalanchino le porte con questo tipo di tematiche.
Ennis: per me la strada è stata più semplice perché era stata aperta da autori come Kevin O’ Neill, Alan Moore, Ian Gibson e altri, che hanno creato alcune delle storie più assurde che si conoscano e hanno tracciato il percorso per gli artisti britannici verso gli USA: un solco in cui per me è stato più semplice inserirmi.
Entrambi avete lavorato non solo sulle vostre storie, ma anche per altre proprietà intellettuali: Pagani per Dylan Dog ed Ennis per DC Comics e Marvel. Come cambia l’approccio quando lavorate per le vostre storie e quando lo fate su personaggi già esistenti?
Pagani: non è poi molto diverso, anche se ovviamente con un personaggio già strutturato non puoi fare quello che vuoi, e devi studiarlo e conoscerlo bene; ma anche in questo caso a me piace trovare le sue crepe e sfruttarle in modo da mettere il personaggio in difficoltà, salvo alla fine rimettere “le cose a posto” per chi scriverà dopo di te.
Ennis: anche per me non ci sono grossi cambiamenti, anche perché di fatto ho scelto io i personaggi di cui scrivere e nessuno alla Marvel o alla DC Comics ha mai interferito nel processo creativo, ben sapendo che tipo di approccio aspettarsi; non avrebbe avuto neppure molto senso, diversamente, chiamare me per proseguire le serie.
Quello a cui sono interessato non è tanto il personaggio in sé (infatti non mi piace lavorare su personaggi che hanno un background solido) quanto il potenziale che può avere: per questo in Punisher Max, che è stata la mia serie su quel personaggio di maggior successo, il protagonista è isolato dal suo contesto tradizionale e i supereroi praticamente non compaiono.
Allo stesso tempo bisogna essere realisti e sapere che chi verrà dopo di noi potrà cambiare tutto di nuovo, anche perché questi personaggi sono proprietà di aziende, che li usano come meglio credono per trarne profitto. Un esempio calzante è Swamp Thing di Alan Moore (DC Comics): una storia fantastica con un finale che rendeva superflua e “impossibile” qualsiasi prosecuzione; ma una volta che Moore se ne andò DC Comics volle riprenderla e farla proseguire su un binario che non le era proprio.
Una platea entusiasta saluta i due autori alla fine dell’incontro, augurandosi un crossover tra Don Zauker e Billy Butcher.
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