Il film
La cittadina di Littlehampton, nel sud dell’Inghilterra, fu teatro nel 1922 di un curioso giallo. Tutto era iniziato con una serie di missive anonime ingiuriose e oscene indirizzate a Edith Swan (Olivia Colman), morigerata e devota figlia di una famiglia cristiana. I sospetti della polizia locale cadono su Rose Gooding (Jess Buckley), vicina di casa della famiglia Swan, in passato amica di Edith. Contrariamente al parere dei suoi superiori, l’agente Gladys Moss (Anjana Vasan), prima donna poliziotto inglese, non è convinta di tale ipotesi. Rose è certo disallineata rispetto alle consuetudini delle donne dell’epoca – beve, fuma, frequenta il pub e ha un linguaggio volgare – ma appare schietta e sincera anche nel dichiarare pubblicamente ciò che pensa, e non sembra avere il grado di istruzione per scrivere delle lettere che, pur se sboccate e volgari, sono comunque scritte con calligrafia e proprietà di linguaggio da persone istruite.
Gladys inizia quindi un’indagine personale, con l’aiuto di alcune donne del villaggio, mentre il tempo scorre inesorabile e incombe il processo a Rose, con una sentenza che sembra già scritta anzitempo. Inoltre sembra che le missive col tempo si stiano moltiplicando, all’indirizzo di tutte le “brave donne” della comunità, causando uno scalpore che arriva fino al parlamento inglese e ha vasta eco nella stampa nazionale.
Cattiverie a domicilio, nel mettere in scena una rappresentazione ispirata a eventi reali, racconta le storie parallele di tre donne in cerca di un riconoscimento.
Edith, che vede nell’essere vittima delle missive l’occasione di un riscatto da una famiglia oppressiva, soverchiata da un padre padrone e una madre troppo remissiva.
Rose, immigrata irlandese, vedova di guerra, che non accetta il ruolo di “brava donna di casa” impostole dalle convenzioni sociali.
Gladys, prima donna poliziotto, che vuole essere riconosciuta nel suo talento investigativo, qualificata come agente di polizia tout court, e non relegata a compiti minori in quanto donna.
Le tre donne si trovano contro una società che ha accettato ob torto collo che le donne accedessero a posizioni lavorative durante la Prima Guerra Mondiale, nella convinzione che poi tutto sarebbe tornato come prima, e non riesce invece ad accettare che ormai i tempi vanno in un’altra direzione.
La curata messa in scena della regista Thea Sharrock propone scale cromatiche e luminose diverse per le tre donne, e ricostruisce con minuzia l’ambientazione d’epoca, per una storia che, con poche differenze – e questo è un problema – potrebbe svolgersi anche oggi. Perché ogni evoluzione, ogni cambiamento di mentalità trova sempre resistenze, nella convinzione che il tempo si possa fermare.
Se le tre pure bravissime interpreti reggono la maggior parte della vicenda, il resto del cast non è da meno, con comprimari di altissimo livello.
L’incastro degli elementi dell’intreccio narrativo e la velocità dei dialoghi sono altri punti di forza del film, che risulta coinvolgente e denso di svolte narrative.
L’Elefante nella stanza
A proposito di tempi che cambiano, le scelte di casting di Cattiverie a domicilio impongono una riflessione sul tema delle differenze tra la realtà e la sua rappresentazione.
La sceneggiatura di Jonny Sweet è, come deve essere, una narrazione che ha lo scopo di creare un’opera di narrazione con alcune convenzioni, legate alla necessità di fornire anche un intrattenimento.
La rappresentazione della vicenda presenta alcune differenze rispetto alle vicende e ai fatti e alle persone reali alle quali è liberamente ispirata. Non è stato difficile trovare in rete articoli dettagliati e documentati in merito https://www.historyvshollywood.com/reelfaces/wicked-little-letters/, per una vicenda che ebbe al suo tempo una vasta eco mediatica. Oggi sarebbe una di quelle storie per le quali sui social network molti si sentirebbero in diritto di esprimersi in merito oppure, di contro, alcuni affermerebbero di essere interessati – come se importasse veramente – generando magari una fabbrica del meme.
Oggi, su quegli stessi social, non è improbabile che alcune scelte di casting possano essere discusse con opinioni differenti.
Nello specifico, basta girarci intorno, la scelta come interprete dell’Agente Gladys Moss di Anjana Vasan. Dalla Wikipedia (sperando nella sua esattezza) apprendiamo che Vasan è un’attrice singaporiana del 1987, nata in una famiglia Tamil in India, trasferita nel Regno Unito nel 1991, che ha conseguito nel 2012 un Master in Arti della recitazione al Royal Welsh College of Music & Drama. Trampolino di lancio di una carriera costellata di premi e di acclamate interpretazioni scespiriane.
Dall’articolo citato sopra apprendiamo che Gladys Moss non era di origine indiana, bensì bianca e britannica, prima donna agente di polizia del Sussex. Ma era una cittadina britannica, tanto quanto lo è oggi la sua interprete. La vera differenza tra realtà e rappresentazione sono quei 0,3 millimetri di epidermide che rivestono ogni essere umano, tolti i quali non c’è differenza alcuna.
Il dubbio che sollevo è: perché la scelta di una brava attrice non può prescindere dal colore della sua pelle, visto che sulla scena non è altro che la rappresentazione dell’idea del personaggio, delle sue motivazioni, del suo ruolo nella sceneggiatura?
Il vero punto di svolta, che aiuta a comprendere quale sia la funzione del personaggio è il momento in cui il padre di Edith va a denunciare le lettere anonime, e non accetta che la sua denuncia venga raccolta da un agente di polizia donna. In quel momento la cosa più importante è che una brava attrice rappresenti con efficacia la difficoltà di una donna pioniera nel suo campo, in un ambiente ostile.
Il film d’altra parte si prende altre libertà, al contrario della sua interprete Jessie Buckley, la vera Rose Gooding non era irlandese, come rappresentato in scena e nella vicenda. Anche intorno a questa scelta la sceneggiatura costruisce intreccio efficace che la sorregge.
Se avete altri preconcetti, preparatevi inoltre a inarcare un sopracciglio quando vedrete un giudice nero presiedere il processo a Rose.
Anche in questo caso la rappresentazione cinematografica si prende una grossa libertà, visto che dalla stessa fonte di prima apprendo che il primo magistrato nero sarebbe entrato in servizio nel Regno Unito solo 1962. Inoltre ancora oggi, in un paese considerato multietnico, nel 2022 i giudici neri costituivano solo l’1,09% della magistratura in Inghilterra e Galles, in leggero aumento rispetto all’1,02% del 2014. Anche in questo caso, come sempre, ci sono quei 0,3 mm a fare la differenza, sotto i quali siamo tutti uguali, con la stessa disposizione dei nostri organi interni.
E se, nella rappresentazione di una vicenda moderna, venisse cambiato il colore della pelle di un personaggio da nero a bianco, ce ne accorgeremmo veramente? Nel film Tetris, disponibile su Apple TV, Taron Egerton, attore gallese, interpreta un personaggio olandese di origine indonesiana, Henk Rogers, svolgendo al meglio la sua funzione.
Conclusioni
Cattiverie a domicilio, non solo narra una vicenda di rottura degli schemi e di affermazione di una mutazione dei tempi, ma è esso stesso un film che ci fa riflettere su come affrontare la visione che abbiamo oggi del mondo. Sono passati oltre cento anni dalle vicende a cui s’ispira, ma sembra ricordarci che non dobbiamo considerare superati certi scogli, perché i cambiamenti di paradigmi necessitano di molto tempo, di molte generazioni, passando momenti in cui le oscillazioni sembrano riportare indietro gli orologi, fino al momento in cui, gli orologi vanno avanti, col dispiacere di chi non sa o non vuole adattarsi.
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