Dopo i fatti drammatici di qualche anno prima quando Mike Lowrey ha scoperto di avere un figlio, ora è finalmente pronto a mettere la testa a posto. Sta per portare all’altare la sua terapista ma la festa si blocca bruscamente quando il suo socio Marcus Burnett ha un infarto nel bel mezzo della pista da ballo. Nell’aldilà il poliziotto incontra il defunto capitano Howard che gli fa un’importante rivelazione: presto per lui e Mike arriveranno tempi bui e dovranno essere pronti al peggio. Nel dipartimento di polizia di Miami, infatti, viene scoperta una brutta storia di corruzione che vede il capitano Howard tra i maggiori indagati. Mike e Marcus però non ci stanno e fanno di tutto pur di non far finire nel fango il nome del loro mentore, compreso chiedere aiuto a Armando, il figlio di Lowrey finito in carcere proprio per i suoi legami con il cartello della droga. Dietro a tutto sembra esserci una storia molto grossa di poliziotti corrotti iscritti sul libro paga dei cattivi.
Adil El Arbi e Bilall Fallah, superato lo sfortunatissimo caso di Batgirl, pellicola fantasma del DC Universe Warner, girata ma finita nel cestino in fase di post produzione, tornano alla regia dopo il buon successo di Bad Boys for Life che allontanava il franchise dalle mani del suo creatore Michael Bay. Due erano allora le differenze più rilevanti che saltavano agli occhi rispetto ai capitoli precedenti: un minimo di attenzione per l’intreccio con la storia del figlio di Mike, la morte del capitano ecc, e una mano meno ispirata nel girare sequenze d’azione. D’altronde il primo ma soprattutto il secondo capitolo erano stati la dimostrazione di quanto l’intreccio nell’idea di cinema di Bay sia qualcosa di a dir poco accessorio, mentre i tagli di montaggio, i movimenti di macchina, ossia un barocchismo ridondante ma esaltante, fossero il suo marchio di fabbrica. Lì in mezzo c’erano anche i siparietti comici tra il bello e miliardario Will Smith e il grassottello padre di famiglia Martin Lawrence, e una storia di droga fotocopia di altri film simili, la cui importanza era però evidentemente nulla rispetto a una bella esplosione.
Non che Adil El Arbi e Bilall Fallah cambino focus, anche Bad Boys for Life cercava di mantenere l’acceleratore premuto sull’azione, ma la mano è diversa e si vede. Anche questo quarto capitolo diciamolo a scanso di equivoci non raggiunge l’astrattezza dell’action duro e puro del cinema di Bay, ma è senza dubbio un ottimo film d’azione con diverse sequenze niente male. La sceneggiatura (scritta da George Gallo, soggettista di tutti gli altri capitoli), mette ancora in scena il duo Smith/Lawrence con la solita buddy cop, le cui battute sono così assurde e spesso grevi da riuscire a strappare ancora qualche sorriso, ma è la parte meno riuscita di Bad Boys: Ride or Die. Anche la scelta di riportare in scena Armando il figlio perduto sembra avere senso solo per la sequenza dell’aereo, finendo per trattare il personaggio come un semplice componente della squadra pari a tutti gli altri, e riducendo il rapporto padre/figlio a mera occasione di gag. Adil El Arbi e Bilall Fallah si rendono ben conto che cosa vuole il pubblico e dimostrano di non essere dei registi pigri ma gente alla ricerca di qualche soluzione visiva, sensata o meno. La scelta di mettere una telecamera sopra la pistola ricorda tanto i giochi sparatutto in prima persona ma girarla sul primo piano di Will Smith, se non è proprio un lampo di genio è comunque un’idea.
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