1985. Sono passati alcuni anni dai fatti accaduti alla fattoria di Pearl e di suo marito Howard. Maxine ora vive a Hollywood ed è alla ricerca della sua grande occasione. Diventata una star nell’industria del porno sa di avere tutte le carte in regola per sfondare anche nel cinema mainstream, e la grande chance arriva durante il provino di un film horror dove viene scelta nonostante il suo passato, dalla regista rimasta incantata dalla sua interpretazione. L’entusiasmo per la parte ottenuta viene però smorzato dalla presenza in città di Night Stalker, un efferato serial killer che sconvolge Hollywood e che sembra in qualche modo collegato a Maxine.

Capitolo finale di una trilogia iniziata nel 2022 con X: A Sexy Horror Story, proseguita con il mal distribuito in Italia Pearl, Maxxxine rende chiaro, se ancora ce ne fosse bisogno, il discorso sui generi cinematografici di Ti West, regista e sceneggiatore di tutta la saga. Se X: A Sexy Horror Story era una rivisitazione degli horror anni ’70, primo su tutti Non aprite quella porta, e Pearl strizzava l’occhio ai musical in technic color dei cinquanta, Maxxxine si cala nel gusto pop degli anni ’80, epoca di videocassette ma soprattutto della nascita del cinema post moderno. Ma se il primo e il secondo capitolo della storia di Maxine pur concedendosi citazioni extra genere (il primo movimento della macchina di X: A Sexy Horror Story fa venire in mente Sentieri selvaggi) hanno dei confini stilistici abbastanza definiti, nell’ultimo Ti West si lascia andare, così com’è tipico del post modernismo a un mix di generi, citazioni e autocitazioni.

West imposta la sua rotta, com’era già accaduto per il primo capitolo della trilogia, prendendo come punto di riferimento il giallo hitchcockiano alla Psycho ma anche l’idea del horror che fa rima con eros tipica del cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta. Una lunga sequenza del film è infatti ambientata all’interno dei set in cui è stato girato Psycho con Maxine che si rifugia nella casa di Norman Bates inseguita da un folle Kevin Bacon. La stessa Maxine interpretata da una sempre bravissima Mia Goth (che produce anche il film) è un ibrido tra una classica scream queen in pericolo e un’eroina abbastanza cazzuta da salvarsi da sola, cosa che permette a West di giocare con lo spettatore. Il fatto che la protagonista sia stata in grado di scappare dalla furia omicida di Pearl non la rende automaticamente salva ma di certo sa come difendersi anche da un serial killer.

È chiaro che Maxxxine sia per West una sorta di campo da gioco. Ci sono diversi easter eggs impossibili da vedere tutti a una prima visione, come la stella sulla Hollywood Boulevard di Thada Bara (la prima vamp della storia del cinema) su cui Maxine posa i piedi scesa da un taxi, o il fantoccio di Pearl trasportato da un tecnico nella scena degli Studios. E forse sta qui il limite della pellicola, che in alcuni momenti si perde in un didascalismo grossolano, lasciandosi per strada qualcosa sia nella trama ma anche nell’uso del gore, che invece era una delle chiavi vincenti dei capitoli precedenti. Maxxxine molto più che X: A Sexy Horror Story e Pearl, espone il fianco di Te West come autore dimostrando che, uscito dalla confort zone del horror, rischia a volte di superare il labile confine tra un’idea personale di cinema e l’accumulo fine a se stesso.