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La chiamavano La Sorridente ma Cadwyn non sorrideva mai. La nascita di un profeta, un’eclissi solare o la caduta di un meteorite non erano eventi altrettanto fuori dall'ordinario. Nessuno sapeva che suono facesse la sua risata, si pensava ricordasse il verso dei corvi che si azzuffano per guadagnarsi una carcassa. I suoi compagni di squadra spesso la sfidavano, raccontando storielle sconce o improvvisandosi guitti e cantastorie per farla divertire ma lei non cedeva mai e, se lo aveva fatto, era stata abile a mantenere il suo sorriso un segreto.
- Da quanto tempo è che camminiamo? – si lagnò Arthur Manibucate aggirando un cespuglio di menta selvatica.
- Non è neanche mezzodì, non puoi essere già stanco – esclamò in risposta Gerralt Creer Artiglio d'Orso.
- Non è colpa mia, sono questi dannati stivali! Da quando quella strega di Blodwen ci ha messo su le mani mi fanno un male cane! – starnazzò Arthur afferrandosi bruscamente un piede.
- Certo che è colpa tua, non fai altro che tormentarla – lo redarguì Cadwyn mentre esaminava da vicino un lichene dall’insolito color aranciato che chiazzava una roccia. – Stavi lì come un gufo a fissarle le tette mentre ti riparava le suole, sei un vero e proprio impiastro.
Accanto a Cadwyn, Berwyn Moyle ridacchiò.
- Capo! – ansimò Arthur sollevando una mano, rivolgendosi al Capo ranger Ewan Brodick in testa al gruppo – Potremmo fare una pausa?
- Aye, ancora mezzo miglio – sentenziò il Capo ranger Ewan Brodick. – Seguiremo il torrente fino a quella foresta e lo guaderemo per deviare a nord-ovest.
E con somma gioia dei suoi compagni, Arthur Manibucate se ne restò zitto fino al pomeriggio.
La squadra Gardseren era in avanscoperta da tre giorni, la benevola Stagione dei Fiori li aveva favoriti con un clima temperato da quando erano partiti dall'avamposto militare del Derwen Wal per addentrarsi negli ignoti territori ad ovest del Continente Occidentale. Esplorarono ampie pianure verdeggianti e terreni rurali dove si imbatterono in una mandria di bufali-tirga che tanto facevano gola ai mercanti per la morbidezza della loro candida pelliccia e la particolare forma arricciata delle corna.
- Non si erano estinti quei bestioni cornuti? – esclamò Gerralt rimirando i tirga che pascolavano in lontananza.
- Da quant’è che fai il ricognitore, Creer? – domandò distrattamente Cadwyn.
- Undici anni.
- E quando imparerai che un gruppo di animali, se minacciato, tende a migrare in un nuovo territorio?
Gerralt le fece il verso e si rivolse ad Arthur, avvolgendogli il braccio attorno al collo, tornando ad indicare i bufali-tirga. – Sai quanto valgono quelle corna, Manibucate?
- Non lo so – Arthur si asciugò il sudore dalla fronte, ancora sofferente a causa degli stivali. – Cento reali d’argento? – ipotizzò.
- Parliamo di oro, ma dhulac. Come minimo cento solari – Gerralt socchiuse i lascivi occhi verde oliva e si lisciò l’ispida barba bionda. – I lord di Boudica le appendono alle pareti dei loro grandi castelli e con la pelliccia ci fanno bei colletti per l’inverno da regalare alle loro bellissime mogli. Niente apre un bel paio di gambe come quei colletti di pelliccia, Arthur. E sai quante mani a Corone d’Osso ci fai con tutti quei solari?
- Per l’amor del Padre, Creer! Sto cercando di non pensarci! – Manibucate nascose sotto la cappa la mano destra alla quale mancava il dito mignolo. Lo aveva perso proprio a Corone d’Osso, i suoi creditori se lo presero come pegno per persuaderlo a pagare i debiti e fu allora che Arthur Gragh trovò rifugio nell’esercito, arruolandosi per la conquista del Continente Occidentale, ma la sua ossessione per il gioco d'azzardo non si era placata. Giurò di aver smesso solo dopo aver contratto debiti anche con tutti i soldati e i manovali dell'avamposto.
- Farò finta di non aver sentito – disse il Capo ranger Brodick con un’occhiata ammonitrice rivolta ad Artiglio d'Orso. – Appropriarsi e vendere sottobanco le risorse del Continente Occidentale è un crimine contro la Corona. Punibile con la morte.
- Scherzavo, capo – ridacchiò nervoso Gerralt Creer che ancora teneva catturato lo smilzo Arthur nella morsa del suo enorme braccio. – Prendevo in giro Manibucate. Non dovrebbero più chiamarti così, non credi? Magari Mignolino? Da quanto tempo non ti fai una partita, Gragh?
- Quattro mesi e dodici giorni.
Era una bugia. Arthur e Cadwyn giocavano a Corone d’Osso di tanto in tanto, scommettendo piccole somme, qualche scellino di rame e mai più di una manciata di reali d’argento ma quello era un segreto solo loro.
Il torrente li condusse ad una foresta vergine di conifere che il giovane Berwyn Moyle ribattezzò “Bosco del Picchio” a causa del costante martellio del becco degli uccelli che echeggiava fra i robusti abeti, i larici e i cedri bianchi. La luce del sole attraversava le fronde degli alberi e disegnava un mosaico luminoso sul tappeto d’erba ricoperto da aghi di pino e candidi petali di magnolia dal pudico profumo. Edere rampicanti e fiori colorati pendevano attorcigliati da un ramo all’altro, formando una catena di stendardi verdi, gialli e azzurri.
- Questi boschi mi ricordano Boudica. Anche lì il verde è silenzioso, cupo, antico… – sospirò Gerralt accingendosi a riempire il suo otre dal torrente. – Ah, mi mancano le mie isole!
- Da dove lo hai tirato fuori questo romantico sentimento di nostalgia? – lo rimbeccò Cadwyn. – Lord e Lady di tutto il mondo, ecco a voi Gerralt Creer, l'Orso Poeta di Domhan an Cróga – sollevò la sua borraccia come per brindare.
- Cosa vuoi saperne tu, ragazzina del nuovo mondo? Non saresti così tanto insolente se solo avessi visto le bellezze di cui parlo, mancherebbero persino ad una cinica dal culo secco come te – Gerralt bevve qualche sorso di acqua fresca, sbrodolandosi sulla crespa e folta barba color grano. – E ricorda che gli Orsi di Domhan an Cróga possono essere poeti e anche più, se vogliono.
- Mio padre dice che a Boudica non fa altro che piovere, per quasi tutto l’anno – si intromise Berwyn Moyle ripulendosi le unghie con la punta di un coltellino.
- Ed è proprio per questo che è così rigogliosa, garr sòroch.
- Dannata Blodwen, me la pagherà cara! – frignò di nuovo Arthur sfilandosi via uno stivale e sbirciandoci all’interno.
- Ti lagni peggio di un asino, Gragh – Cadwyn sollevò gli occhi blu al cielo mentre risistemava sulla spalla la sacca da viaggio.
Durante la sosta, mentre la sua squadra era intenta a prendersi gioco l'uno dell'altro, il Capo ranger Brodick aveva segnato a margine di una mappa ogni risorsa che poteva rivelarsi utile per lo studio dei druidi al Derwen Wal: alberi e piante, gli insetti e gli uccelli, le erbe officinali sulle sponde del torrente e il muschio sulle rocce. – Rimettiamoci in marcia – comandò quando ebbe finito.
Guadarono il torrente e proseguirono l’esplorazione fino al tardo pomeriggio, la foresta si fece più rada per aprirsi infine su una distesa collinare che si estendeva a perdita d’occhio, costellata da una miriade di piccoli fiori bianchi e gialli trapuntati sul manto smeraldino.
Una fugace raffica di vento fresco si portò via una foglia di cedro che era rimasta impigliata fra i capelli corvini di Cadwyn. Poco distante da loro, un branco di cervi brucava su una collina ma si dispersero non appena percepirono la presenza umana, cercando rifugio nella profondità della foresta.
- Questo posto andrà bene – constatò il Capo ranger Brodick. La squadra Gardseren aveva compiuto la propria missione: trovare un ampio spazio che fosse strategicamente favorevole alla costruzione di un nuovo avamposto militare per l'espansione del dominio di Boudica sul nuovo continente, un presidio a difesa del progresso e della civiltà da ciò che si trovava ad ovest, dove il sole andava a nascondersi con il calare della notte.
A Cadwyn parve già di vederla, la maestosa fortezza che si sarebbe eretta sulla collina più alta. Immaginò le grandi torri circolari e l’imponente cinta muraria, vide le garitte, sbirciò il cortile d'addestramento dalle feritoie per gli arcieri. Si sforzò di attingere a tutta la sua fantasia ma la visione nella sua mente altro non era che una copia del Derwen Wal. Quel nuovo avamposto sarebbe stato la sua terza casa.
- Questa volta è stato facile, come buttar giù del gin freddo – fece Gerralt poggiando i pugni sui fianchi. – Trovare un buon posto per il Derwen Wal, dieci anni fa, ci costò un sacco di uomini per colpa dei Nabora.
- Aye. A quanto pare, gli animali non sono gli unici ad abbandonare il proprio territorio se disturbati – Brodick tirò fuori dalla sacca da viaggio un'occhiosfera, nuovo prototipo dell’alleato Impero Cariddi, usato per osservare da vicino cose che erano molto distanti.
- I Nabora non sono stati mansueti quanto i bufali-tirga, ci hanno dato parecchio filo da torcere – disse Cadwyn.
Il Capo ranger Brodick ordinò alla squadra di dividersi per perlustrare le colline e raccomandò cautela. Cadwyn procedette silenziosa fra l’erba alta nella direzione che le era stata assegnata, con le orecchie ben tese e le mani vicine alle impugnature delle due daghe foderate ai lati del suo cinturone. Il sole le picchiava sulla testa coperta dal cappuccio verde scuro dell’uniforme d’ordinanza e una lieve brezza faceva ondeggiare gli steli di gramigna che le sfioravano le ginocchia. Dopo mezzo miglio, raggiunta la cima di una collina, venne abbagliata da un luccichìo: cristalli di luce solare si riflettevano su un limpido e azzurro specchio d’acqua. Il suo primo pensiero fu quello di spogliarsi e farsi una bella nuotata, e forse – più tardi – l’avrebbe fatto. “Deve trattarsi della foce del torrente che abbiamo guadato nel bosco” si disse fra sé. Scivolò sul terreno scosceso e una volta vicina alla riva si liberò del colletto nero che le copriva il volto fin sopra il naso e raccolse l’acqua fra le mani a coppa per rinfrescarsi le guance e la fronte accaldate.
Tornò dai suoi per fare rapporto. L’avanscoperta di Berwyn Moyle e Gerralt si rivelò infruttuosa ma Manibucate aveva trovato una piantagione spontanea di felce lattea.
- Questo posto è una sorpresa continua! – esclamò Artiglio d'Orso sfregandosi le mani. – I parrucconi di Gargouille pagheranno una fortuna per quella pallida pianticella rinsecchita.
- Quella pallida pianticella rinsecchita ha proprietà analgesiche straordinarie – puntualizzò Cadwyn posando le mani sui fianchi. Gerralt era sempre così chiassoso, avrebbero dovuto chiamarlo l'Orso Chiacchierone.
- E credi che i garg la usino per curarsi il mal di denti? Sai cosa succede se misceli un pizzico di polvere di felce lattea con del distillato d’agave? – si afferrò il cavallo dei pantaloni spanciandosi per le risate. – Lo tieni duro per ore!
Cadwyn scosse la testa – Sei un idiota.
Ma sotto lo strato di stoffa scura aderente, l’angolo sinistro delle sue labbra si curvò appena. A volte, i modi rozzi di Gerralt la prendevano per sfinimento. Farsi beffe della stupidaggine reciproca condiva da sempre il cameratismo della squadra Gardseren ciononostante erano sempre pronti a coprirsi le spalle in battaglia, tenendo i punti per chi abbatteva più avversari, poi bevevano e brindavano insieme tornando a sputarsi addosso oscenità.
Manibucate annuì divertito all'affermazione di Cadwyn prima di lasciarsi sfuggire una smorfia di dolore causata dai suoi stramaledetti stivali.
- Di’ un po’ tu, scommetto che ti sei tenuto qualche fogliolina di felce da parte – insinuò Gerralt incombendo su Arthur. – Svuota le tasche, Gragh!
- Non mi serve mica quella roba! – Manibucate reagì all’affronto incrociando le braccia al petto. – Io vado forte con le donne, me ne vengono dietro a centinaia!
- Ne siamo tutti al corrente, Gragh – sospirò il Capo ranger Brodick mettendo un freno agli schiamazzi. Srotolò un'altra volta la mappa in pelle di pecora sulla superficie liscia di una roccia e con l’ausilio di una bussola segnò con scrupolosa precisione la posizione del lago e della piantagione di felce lattea. Tracciò persino un percorso sicuro attraverso il Bosco del Picchio per consentire ai costruttori – una volta dato inizio al lavori per l'edificazione dell’avamposto – di procedere per un sentiero rapido e sgombro dal Derwen Wal fino alle colline.
- Sarà meglio rientrare nella foresta e accamparci per la notte, qui siamo troppo scoperti – concluse il Capo ranger Brodick quando il cielo si incendiò dei colori del tramonto.
Allestirono il bivacco in una radura. Il rancio serale era una spessa striscia di carne di manzo essiccata e spugnosi tozzi di pane inzuppati d’olio. Con l’imbrunire, i rumorosi uccelli picchiatori cessarono la loro esibizione musicale e gli unici suoni erano lo scrosciare dell’acqua del torrente vicino, lo scoppiettare dei tizzoni e le risate dei compagni.
Cadwyn si sedette sotto un cedro, concedendo alle fiamme del fuoco di illuminarle solo il lato destro del viso. Tirò giù la stoffa e addentò la carne con la parte buona della bocca, coprendo con la mano lo squarcio che si apriva sulla sua guancia sinistra. Quel solco diagonale era un ricordo d’infanzia che partiva dall’orecchio e terminava alla commessura labiale, le lasciava esposti i premolari e una piccola parte del muscolo buccinatore. Per una notte intera e fino alle prime luci dell'alba, Druido Matha aveva tentato di suturarle la ferita ma il brandello di carne che le era stato reciso era troppo esteso e la sua pelle troppo disidratata per ricucire i due lembi fra loro senza che il suo piccolo viso di bambina si deformasse, rischiando di rendere grottesco anche il suo sguardo oltre a quel raccapricciante sorriso che si portava dietro da ormai vent’anni. Un pegno per essere sopravvissuta al suo torturatore.
Non esibiva quasi mai lo sfregio davanti ai suoi compagni, non dopo che Gerralt le aveva detto che vederla mangiare gli provocava il voltastomaco. Cadwyn non riuscì a dargli torto, lei stessa preferiva mostrare un'altra parte di sé, quella abile in battaglia e nelle esplorazioni, che ostentava fedeltà e dedizione all’esercito. Durante tutta la sua vita, a causa di quella cicatrice, qualcuno l’aveva compatita – soprattutto le donne – e tanti altri avevano provato disgusto ma non le andava a genio che la sua persona istigasse pietà o al ribrezzo.
Il Capo ranger Brodick si unì alla squadra dopo un ultimo giro di ronda. – Nessuna spiga di sangue. A quanto sembra, questo bosco non rientra nella zona di caccia dei Nabora – rassicurò e si mise a sedere su un grosso ramo spezzato.
- La vegetazione qui è troppo fitta, le corna dei loro giganteschi bisonti rossi rimarrebbero incagliate fra gli alberi – osservò Cadwyn.
I Nabora avevano ostacolato l’avanzata dei conquistatori boudicani per oltre vent’anni, erano cacciatori spietati e inarrestabili nella carica grazie agli enormi bisonti dal pelo fulvo che usavano come cavalcatura.
- Ricordi quella volta, Cadwyn? – esordì Berwyn Moyle rivangando la loro ultima incursione ai danni dei Nabora, come fa un bambino che chiede a sua sorella maggiore di raccontargli la storia di una grande battaglia prima di andare a dormire. – Quanto ci mise a morire quel Samarora?
- Una daga conficcata nel torace, un tendine della caviglia reciso e la gola tagliata, ecco quanto. E quando la morte lo prese, ancora mi fissava con gli occhi iniettati di sangue. Era così pieno di bacche apaves che grondava schiuma blu dalla bocca.
Quello scontro fu un successo per la squadra di ricognizione Gardseren ma Cadwyn restò confinata nell’infermeria per più di una settimana. I conflitti con i Nabora erano cessati da un paio d’anni, quando l’esercito di Boudica eliminò tutti i Samarora, i generali della tribù. A Cadwyn mancava la frenesia della battaglia, sentire il cuore tuonare nelle orecchie come se intonasse un inno alla guerra, il sangue che pompava nelle vene e faceva ribollire ogni fibra del suo corpo, le gocce di sudore che schizzavano ad ogni colpo evitato. Ma negli ultimi tempi, si era limitata a sfoderare le sue daghe solo per abbattere lupi od orsi che si erano avvicinati troppo alle mura del Derwen Wal.
- Se i Nabora gironzolano tuttora da queste parti farebbero meglio a smontare da quei maledetti bisonti, deporre le lance e sottomettersi alla Benevolenza Paterna – gracchiò Gerralt scacciando un insetto che volò troppo vicino le sue grandi orecchie.
- Nessun Nabora maschio in età adulta ha mai subito il rituale della Benevolenza Paterna. Guerrieri di quel tipo non si sottomettono, muoiono combattendo – lo corresse Cadwyn.
Manibucate prese la borraccia che conteneva del liquore di java e cominciò a tracannarlo. – Se non fosse stato per quei bastardi demoniaci a quest’ora il nuovo avamposto sarebbe già bello che pronto. Sono stati una vera spina nel fianco.
Cadwyn si strofinò il naso nel punto dove la stoffa del colletto aveva lasciato un solco. – Tu non avresti lottato con altrettanta furia se degli stranieri d’oltreoceano fossero venuti alla tua porta imponendoti l’obbligo di baciare i loro ninnoli o morire?
- Che fai li difendi adesso, Sorridente?
- No. Dico solo le cose come stanno, Manibucate. Se il Continente Benedetto si fosse aspettato una reazione pacifica non avrebbe mandato eserciti di soldati addestrati, non credi?
Cadwyn buttò giù l’ultimo morso di pane e bevve un generoso sorso d’acqua per sciacquarsi la bocca, detestava quando rimasugli di cibo si sedimentavano fra i bordi frastagliati della cicatrice. Infilò sotto la lingua una foglia di menta selvatica e sollevò il colletto sul viso.
- C’è solo una cosa che non capisco… – rifletté Berwyn Moyle socchiudendo gli occhi. – I Nabora non sono coltivatori, né contadini. Perché il loro marchio territoriale è una spiga di grano?
- Quei selvaggi non ragionano come noi, laeb . Hanno i demoni nella testa – rispose secco Gerralt.
L’otre di liquore doveva essere ormai vuoto per metà quando Arthur Manibucate prese ad elencare le sue recenti e conquiste, vantandosi delle tante donne che si erano susseguite nel suo letto. Con la voce che ricordava il verso di una cornacchia petulante, raccontò di quando l’Ambassadeur Vivienne Heliás di Gargouille fece visita al Derwen Wal durante l’ultimo inverno e di come lui se la fosse ripassata per bene nello studio dei cartografi, senza tralasciare il benché minimo dettaglio pruriginoso. Le frottole di Arthur avevano assunto connotati sempre più fantasiosi da quando aveva smesso di rischiare le dita col gioco d'azzardo.
- Questa non me la bevo! – esclamò Berwyn Moyle sbeffeggiandolo con un gesto della mano.
- Lo sanno tutti che l’Ambassadeur se la spassa con Llewellyn, non lo guarderebbe due volte un rospo come te – biascicò Gerralt, anche lui al sesto giro d’otre.
Manibucate giurò che era tutto vero ma la sua credibilità non valeva un soldo bucato. Si era sempre professato un donnaiolo incallito eppure le uniche donne che avevano condiviso il letto con lui lavoravano nel bordello di Honor la Rossa. Per uno come Arthur pagare e conquistare volevano dire la stessa cosa. Persino Cadwyn era stata bersaglio delle sue lusinghe dopo essere entrata nella Gardseren ma i ridicoli approcci di Manibucate ebbero una battuta d’arresto alla scoperta del decoro che lei aveva sul viso e, come per magia, qualsiasi lascivo interesse nei suoi confronti scomparve.
Cadwyn sistemò la federa di canapa imbottita dietro la schiena. – È questo il tuo problema Arthur, non ti sai regolare. Una bugia dev’essere plausibile, se avessi giurato di esserti strusciato addosso ad una delle giumente di Mastro Colyn ci avremmo creduto tutti.
Gerralt scoppiò in una grassa risata scandita da colpi di tosse e allungò una mano verso Arthur che sbuffò, scuotendo la testa contrariato. Manibucate tirò fuori dalla tasca delle braghe una manciata di reali d’argento.
- Ho solo questi – borbottò consegnando le monete al compagno.
- Ne manca qualche pezzo, mi aspetto di avere il resto una volta tornati al Wal – Gerralt intascò la vincita sogghignando.
- Che significa questo? – Cadwyn li guardò entrambi.
- Non avevi smesso di scommettere, Gragh? – chiese ingenuamente Berwyn Moyle.
- Oh, con le carte ha smesso – puntualizzò Gerralt – ma continua a perdere miseramente.
- E su cosa avreste scommesso questa volta? – domandò Cadwyn.
- Manibucate ancora spera di riuscire a far ridere La Sorridente, a differenza di noi altri che ci abbiamo messo ormai una pietra sopra. Io ho scommesso che tu avresti fatto ridere uno di noi prima che lui fosse stato in grado di far ridere te.
- Avresti dovuto dirmelo – replicò Cadwyn con una scrollata di spalle – potevamo alzare la posta e dividerci la vincita.
- Aaah, smettetela voi due! – si infuriò Arthur che tornò a prendersela con i suoi stivali per sottrarsi allo scherno.
Fra un battibecco e un'imprecazione, l’unico che se ne stava in silenzio era il serafico Capo ranger Ewan Brodick che fingeva di dormire, anche se Cadwyn lo aveva visto trattenere qualche sorriso composto. Teneva le gambe lunghe distese in avanti, le caviglie incrociate e le braccia conserte sul torace. Preservava una certa signorilità persino standosene seduto su uno strato di aghi di pino, poggiato contro il tronco di un albero imbrunito, avvolto nella memoria del suo alto lignaggio. Ewan apparteneva ad una famiglia nobile minore di Boudica – i Brodick di Glasadh, nella regione di Guthan – anche se nessuno più lo chiamava lord. Le fiamme agitate del fuoco disegnavano ombre tremolanti sul suo viso pallido incorniciato dai capelli neri, lunghi fino alle spalle e raccolti per metà dietro la nuca.
Cadwyn si soffermò sui lineamenti spigolosi e sottili del suo viso, la barba scura che enfatizzava gli zigomi affilati. Ewan era un uomo riflessivo, ligio al dovere e dotato di un intuito invidiabile, i suoi successi nell'esercito gli valsero la posizione di consigliere personale del Lord Comandante Cadwallader, fratello del Re e capo dell’esercito di Boudica nel Continente Occidentale.
Mentre Cadwyn lo osservava, le fiamme del bivacco si fecero troppo audaci e il calore le avvampò dentro, dal basso ventre fino alle orecchie, e sentì il bisogno di una secchiata d’acqua gelata.
Il Capo ranger Brodick predispose i turni di guardia per la notte: il sobrio Berwyn Moyle si propose per primo ed Ewan l'avrebbe seguito, lasciando a Gerralt e Arthur il tempo necessario per smaltire la sbronza.
Cadwyn scattò in piedi.
- Dove te ne vai? – domandò Berwyn Moyle vedendola allontanarsi.
- Pensavo di disertare. Sono stufa di voi e delle vostre balordaggini. Addio Berwyn – rispose con enfasi sistemandosi il cinturone sui fianchi.
La beffa era così ovvia che avrebbe potuto colpire Moyle in piena faccia ma quel giovanotto di vent’anni e di bell’aspetto, quinto e ultimo figlio di un mercante di metalli e gioielli, non spiccava per sagacia. In cambio, il Padre lo aveva benedetto con una mira infallibile e una vista ben più acuta della sua mente.
- Rilassati, Moyle… Tu non sei il più furbo dei figli di tua madre, vero? – sospirò Cadwyn in risposta alla sua espressione sconcertata. – Vado a pisciare.
Si avviò verso il torrente, l’acqua scorreva con dolcezza dalle cateratte fino all’alveo e intonava una piacevole melodia cristallina. Cadwyn si liberò dell’uniforme, sfilò via stivali e guanti, le rimase addosso solo la fasciatura di cotone grezzo stretta attorno al petto e il colletto di stoffa nera sulla bocca. Si immerse lentamente tenendosi aggrappata ai margini della riva per non perdere appiglio sulle pietre lisce del fondale. Erano giorni che non faceva un bagno e la necessità di sentirsi pulita mitigò la fredda temperatura dell’acqua. Rilassò ogni fibra dei suoi muscoli costantemente tesi e scostò il colletto dal naso per inspirare il profumo dell’erba.
Avvertì dei passi attutiti dal terreno alle sue spalle e un fruscìo fra gli arbusti di filadelfo. Ewan le si avvicinò, chinandosi in ginocchio per accarezzarle i lunghi capelli corvini.
- Quando sarà pronto il nuovo insediamento potremmo rifugiarci qui ogni notte e goderci la discrezione di questa radura – mormorò lui.
- Ci vorrà almeno un anno affinché le mura vengano erette e la fortezza diventi agibile. Temo che dovremmo aspettare.
- Non stanotte.
Cadwyn udì la fibbia del suo cinturone tintinnare e gli indumenti ammassarsi al suolo gli uni sugli altri. Ewan la raggiunse e la attirò a sé infilandosi fra le sue cosce, con l’indice provò a liberarla dal colletto nero ma lei gli afferrò il polso. Il cielo era terso quella notte, la luna rifletteva la sua argentea luce sulle increspature dell'acqua e quando Cadwyn si trovava fra le braccia di Ewan preferiva restare nelle ombre.
- Ti prego, non celarti a me – le sussurrò all’orecchio.
- Prometti di tenere gli occhi chiusi.
- Cadwyn, non mi importa- -
- A me importa.
Ewan era ben consapevole quanto fosse inutile insistere e accontentò il suo volere. – Va bene. Lo prometto – chiuse gli occhi e Cadwyn allentò la presa sul suo polso, scoprendo appena le labbra per permettergli di baciarla.
L’intimità fra loro due era stata un’ovvia e travolgente conseguenza dell’eccessiva intesa e fiducia che li legava reciprocamente. Cadwyn amava la pacatezza di Ewan, il tempo che impiegava a riflettere per poter prendere la giusta decisione, il suono sommesso e calmo della sua voce e il fatto che lui fosse ampiamente consapevole di tutte queste qualità. Ewan era stato uno dei pochi a non mostrare mai un sordido interesse per la sua cicatrice e a Cadwyn non importava che fosse sposato. Di sua moglie sapeva solo che si era rifiutata di seguirlo oltre l’Oceano Calmo perché terrorizzata dai selvaggi dell’ovest, ed era rimasta a Boudica, nel Continente Benedetto. Ewan era salpato da solo, impossibilitato a rinunciare alla richiesta di arruolamento imposta dal sovrano in persona. Due decenni erano trascorsi e lui diceva di ricordare a stento il volto di sua moglie.
Avvinghiata ad Ewan, Cadwyn inspirò il suo profumo alla base del collo, dove l'odore di sudore si mischiava a quello dell'erba umida e, come sempre accadeva quando i loro corpi si univano sotto le stelle, tutto il resto del mondo si zittiva. Non sentiva più lo scorrere del torrente o il frinire dei grilli ma solo i gemiti e i sospiri che sfuggivano alle loro labbra.
Gli occhi di Ewan restarono chiusi per tutto il tempo, aveva dato la sua parola e questo significava che sarebbe stato cieco fino a quando Cadwyn non lo avesse autorizzato a guardarla, cosa che accadde quando percepì che l'appagamento per lui era in arrivo. – Guardami – gli sussurrò all'orecchio e l'affanno di Ewan si fece più intenso, la stretta delle mani attorno alle cosce di lei più salda e il nero dei suoi occhi più cupo e concupiscente.
Si spostarono sulla riva, con le schiene nude distese sul prato incolto, i loro abiti sparpagliati tutti intorno.
- Credo di essermi appena sdraiato sulla vecchia bussola di mio padre – Ewan recuperò il puntatore di bronzo, osservandolo alla luce della luna.
- Si è rotta – disse Cadwyn accorgendosi della crepa sul vetro opaco.
- La farò aggiustare.
Ewan tornò all’accampamento per primo dopo essersi rivestito e lei lo seguì poco più tardi. Si era spesso chiesta se i suoi compagni nutrissero sospetti su loro due, se avessero notato la complicità degli sguardi o il fatto che, di tanto in tanto, si allontanassero dal resto del gruppo senza dare troppe spiegazioni. Tuttavia, la questione non le aveva mai fatto perdere il sonno, nessuna regola vietava espressamente un coinvolgimento un ufficiale e un soldato semplice e di certo Cadwyn non se ne sarebbe fatta un problema.
Il turno di Berwyn Moyle si era concluso, toccava ad Ewan montare la guardia e tenere acceso il fuoco. Cadwyn slacciò il cinturone delle armi ma le tenne a portata di mano, si sistemò sul giaciglio di canapa e si addormentò.
Nessuno andò a svegliarla per farsi dare il cambio e Cadwyn aprì gli occhi che era ormai l’alba. “Qualcosa non va” le suggerì il suo istinto quando si ritrovò avviluppata da una densa foschia che appestava l’accampamento, una nebbia opprimente e innaturale che puzzava di legno di cedro bruciato, frutta marcia e qualcos’altro, un qualcosa che disorientò i suoi sensi più del torpore del sonno.
Si strofinò gli occhi arrossati a causa del fumo e sfoderò una delle daghe che aveva lì vicino. Barcollò per mettersi in piedi e solo quando recuperò un precario equilibrio si guardò attorno per scoprire che i giacigli di Arthur e Gerralt erano vuoti. Con le gambe formicolanti e le articolazioni delle ginocchia che a malapena sostenevano il suo peso, avanzò verso Ewan. Lo scosse con forza, chiamandolo per nome e tirò un sospiro di sollievo quando lui spalancò finalmente le palpebre. Persino il Capo ranger ebbe difficoltà a riacquistare lucidità.
- È successo qualcosa – Cadwyn indicò i posti lasciati vuoti dai suoi compagni.
- Va’ a controllare Moyle – ordinò Ewan come prima cosa.
Un’opportuna brezza mattutina soffiò sulla radura, disperdendo la nebbia verso l’alto che si sollevò in riccioli pallidi fino a diradarsi del tutto. Cadwyn liberò Berwyn Moyle dalla coperta in cui era infagottato e lo strattonò senza però riuscire a svegliarlo. Stava quasi per prenderlo a sberle quando dalla sua bocca impastata vennero fuori versi incomprensibili di protesta.
- È pronta la colazione? – mugugnò mentre abbandonava il caldo abbraccio del sonno.
Poco alla volta, respirando aria pulita, i tre ricognitori riacquistarono le funzionalità motorie e visive, ed Ewan ispezionò con attenzione l’accampamento.
- Le armi sono qui – lo sguardo del Capo ranger indagò alla ricerca di indizi. – Il fuoco non è del tutto spento. Qualsiasi cosa sia successa è accaduta nell’ultima ora.
- Quella nebbia… – Cadwyn continuava a stringere la daga nella mano sinistra, la sensazione di pericolo che non accennava a diminuire. – …Cos’era?
- Non lo so ma non si trattava di un fenomeno atmosferico naturale.
- Ci hanno attaccati? – balbettò Berwyn Moyle stropicciandosi compulsivamente la faccia come per liberarsi da ragnatele invisibili.
- Non ci sono segni di lotta – Ewan indicò una fila di impronte che dai giacigli vuoti portavano ad un groviglio di rovi e cespugli di magnolia – ma li ci sono delle tracce. Seguile – disse rivolgendosi a Cadwyn.
Lei annuì e tirò su il cappuccio, seguendo le orme oltre gli arbusti.
- Cadwyn – la richiamò il Capo ranger – fa’ attenzione.
Cadwyn sfoderò l’altra daga. Le impronte di stivale la condussero nel fitto del bosco, camminò per una trentina di iarde poi le tracce cessarono all’improvviso, come se Arthur e Gerralt si fossero dissolti nel nulla. Si accorse solo in quel momento dello spettrale silenzio che dimorava fra le conifere, nessun picchio o altro uccello aveva ripreso ad intonare suoni e melodie con il levarsi del sole. Ripercorse il tragitto più volte, nella speranza che qualche segno rivelatore le fosse sfuggito, rovistò fra i cespugli, studiò le cortecce degli alberi e il terreno ma alla fine fu costretta ad ammettere che non c’era nulla da cercare. Cadwyn tornò all’accampamento con l’amaro in bocca, trascinandosi dietro il suo insuccesso. Gli altri la guardarono, ansiosi di sapere cosa avesse scoperto ma lei si limitò a scuotere mestamente la testa.
- E se fossero stati presi in trappola con l’inganno? I responsabili potrebbero aver cancellato ogni traccia – suggerì Berwyn Moyle.
- Sono in grado di capire se una pista è stata manomessa o se semplicemente non c’è alcuna pista – precisò Cadwyn con una punta di stizza nella voce ma ogni tipo di dubbio aveva iniziato ad insinuarsi nella sua testa. – Gerralt e Arthur si sono… volatilizzati.
- Ma i Nabora- -
- I Nabora non c’entrano, Moyle. Non è il loro modo di agire – lo corresse Ewan. I suoi occhi neri vagavano lentamente da un punto all’altro della radura. – Concentriamoci su quella strana nebbia.
- Ho letto a proposito qualcosa di simile tempo fa – mormorò Cadwyn, il ricordo le affiorò alla memoria senza preavviso. – Nella biblioteca del Wal, era la copia di un rapporto delle colonie a sud, al confine fra le regioni di Cariddi e Aguirre. Una carovana di tappezzieri cariddiani è scomparsa letteralmente nel nulla, senza lasciar alcuna traccia, nella zona ad ovest della Sapo Lama. È sopravvissuto solo un ragazzino, si è presentato in piena notte nel vicino villaggio di Avennio, era scalzo, denutrito e, nonostante lo abbiano interrogato per giorni, non è più stato in grado di parlare.
- E da quando crediamo alle fantasiose teorie dei cariddiani? – replicò Ewan.
- Da quando non ci sono altre spiegazioni plausibili. Sappiamo che quelli praticano malefici, di questo abbiamo le prove, no?
I resoconti storici degli eserciti alleati, impegnati nella stessa missione di colonizzazione parlavano chiaro sui selvaggi del Continente Occidentale: stregoni, sciamani, maghi del sangue, e i conquistatori delle regioni meridionali – quelle di Aguirre e Cariddi – avevano raccolto maggior esperienza con assurdità del genere. Eppure, nonostante fosse stata lei ad avanzare quelle ipotesi, a Cadwyn era proprio quello che sembravano: assurdità. Cose a cui non poteva credere.
- Dobbiamo rientrare – concluse Ewan. Si disfò di un guanto di cuoio e infilò indice e pollice fra le labbra. Il fischio richiamò un gwynya, il falco messaggero planò nella radura e si aggrappò con gli artigli al braccio sollevato di Berwyn Moyle. Cadwyn non vide quello che il Capo ranger scrisse sulla pergamena ma notò quante volte la piuma interruppe il suo scorrere sulla carta, incapace di dare forma alle giuste parole. Quando il gwynya ripartì in volo, diretto al Derwen Wal, Ewan diede ordine di raccattare gli effetti personali di Arthur e Gerralt e d’incamminarsi verso la base.
Con una manciata di terra, Cadwyn soffocò i tizzoni del bivacco e con ultimi deboli sbuffi di fumo il fuoco si estinse del tutto. Gli ultimi anni erano stati prevalentemente pacifici, le incursioni dei Nabora erano diminuite fino a cessare del tutto e questa sicurezza aveva cullato i colonizzatori boudicani spingendoli stupidamente ad abbassare la guardia, portandoli a sottovalutare le insidie che quel continente aveva in serbo.
Cadwyn lanciò un’ultima occhiata verso ovest, con la daga stretta nella mano sinistra, come se temesse di deporla. L’ignoto era stato pazientemente in attesa e, quella notte, aveva sferrato il suo attacco inaspettato portandosi via due dei suoi compagni.
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