Jim Monier (Daniel Auteuil) è un avvocato che da anni non accetta cause penali, traumatizzato dall'aver fatto scarcerare in buona fede un pericoloso assassino. Ritrova la voglia di assumere un caso quando, come difensore d'ufficio, s'imbatte in Nicolas Milik (Grégory Gadebois), un uomo accusato di aver ucciso la moglie. Monier infatti ritiene l'uomo innocente, accusato sulla base di elementi e testimonianze inconsistenti.
Ingaggia pertanto una battaglia legale che nel tempo assume sempre più l'aspetto di una crociata che lo coinvolgerà sempre di più, nei vari gradi di giudizio, in un continuo confronto con un Pubblico Ministero (Adèle Houri) che cerca di dimostrare la sua verità, e una difesa che cerca di instillare nella giuria il ragionevole dubbio che porti all'assoluzione.
La misura del dubbio è un film che racconta una storia di provincia, non un caso da prima pagine. L'avvocato interpretato da Auteil non è un principe del foro. Il film è però ispirato a fatti reali, raccontati nel suo il blog da un avvocato penalista oggi scomparso, Jean-Yves Moyart, sotto lo pseudonimo di Maître Mô.
La cifra del film è basata su diversi e stimolanti elementi.
Vari confronti verbali molto serrati. Quello tra avvocato e un riluttante difeso, un uomo che sembra non capire la gravità di quanto sta succedendo, che gradualmente deve essere condotto ad agire in modo che non sia egli stesso a danneggiare la sua difesa. Si svolge in serrati campi/controcampi. A volte in piani strettissimi, dettagli minimi ma fondamentali nell'economia di un film che, nonostante la quantità enorme di parole ha una forte narrazione visiva, disseminante di preziosi indizi che possono aiutare lo spettatore a comprendere quale possa essere la soluzione del caso.
Naturalmente l'altro confronto è tra avvocato e Pubblico Ministero, più distanziato, tutto dentro l'aula di tribunale. Curiosa e stimolante è resa visuale delle due arringhe finale. Quella del PM è puntellata da immagini di un un ipotetico flashback in cui l'accusato compie il delitto di cui si vuole dimostrare la colpevolezza. Di contro quella dell'avvocato è affidata dalla regia di Auteil alle sole parole dell'arringa, il cui scopo non dare in realtà una narrazione alternativa dei fatti, ma solo dimostrare quali siani i punti deboli della versione dell'accusa.
Fondamentali poi sono i confronti/scontri tra Monier e la ex moglie Annie (una strepitosa Sidse Babett Knudsen).
La narrazione avvolge e appassiona, grazie anche a continui e ben dosati colpi di scena, che sembrano ribaltare in continuazione la prospettiva e lasciano intravedere diverse soluzioni della vicenda, fino a un sorprendente finale.
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