Souleymane (Abou Sangare) è un giovane rider proveniente dalla Guinea, in attesa che l’Ofpra (Office français de protection des réfugiés et apatrides, Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi) valuti la sua domanda di asilo politico.
Mancano solo due giorni, ma tutto sembra volgersi al peggio: un incidente in bicicletta, l'affittuario del suo account da rider che sparisce, ritardi, contrattempi e mille problemi e soprusi da superare, cercando di sopravvivere consegnando il più velocemente possibile cibo da una parte all'altra di una Parigi fuori dai consueti paesaggi da cartolina.
Un senso di tragedia accompagna gli spettatori nell'assistere alle peripezie di Souleymane, la cui storia scopriremo man mano che lo stesso giovane ne lascia trapelare i dettagli. Una storia di fame e disperazione, di chi ha dovuto abbandonare il suo luogo di origine perché non aveva nulla da perdere. Persone che alcuni definiscono "invasori", come se affrontare deserti, angherie, mare aperto e mettere in pericolo la propria vita, per vivere poi comunque ai margini di una società che li considera invisibili e che li nota solo per quei brevi istanti in cui gli viene reso un qualsiasi servizio, sia un atto che metta in pericolo altri che non se stessi.
Con La storia di Souleymane Boris Lojkine mette in scena senza pietisimo una storia che, tristemente, ha ben poco di speciale, una storia condivisa da tanti uomini e donne.
Una storia raccontata con accumulo di tensione, di momenti di trepidazione dello spettatore, che assiste alla lotta impari di un uomo contro un cosmo beffardo, una burocrazia implacabile che pure ha un volto umano di una funzionaria dell’Ofpra (Nina Meurisse) che non è insensibile alle istanze di Souleymane, interpretato dal bravissimo Abou Sangare, ma che può solo trasmettere la sua testimonianza attendendo che venga applicata la procedura stabilita da protocolli che non fanno distinguo, che non ascoltano storie, ma valutano solo su elementi decisi in modo impersonale.
Perché il peggio che possa accadere non è che venga rubata la bicicletta, che è rimediabile, ma fallire l'intervista alla Opfra, la linea di demarcazione tra la sopravvivenza e un destino incerto.
Un cinema di finzione, lontano dal linguaggio del neoralismo, che racconta una storia vera più che mai.
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