Il mondo di un giovane gatto viene sconvolto quando una gigantesca onda comincia a coprire tutti i suoi punti di riferimento. La casa dove gli esseri umani sembrano misteriosamente spariti, i boschi nei quali soleva fare le sue sortite, scontrandosi con la fauna locale, nonché con una banda di cani poco inclini a giocare.
Ma per sfuggire alla marea che sta coprendo tutto, il gatto si ritrova su di una imbarcazione, in compagnia di un placido capibara. A due, man mano che la barca procede trascinata del flusso della corrente, si aggiungeranno altri animali: un dispettoso lemure, un labrador, il più giocherellone e socievole della banda di cui sopra, un uccello ferito.
I componenti dell'eterogeneo gruppo dovranno imparare ben presto che per sopravvivere dovranno non solo fare fronte comune, ma imparare anche come muoversi e addatarsi ad ambienti inusuali per loro: per esempio il gatto imparerà a nuotare, l'uccello dovrà capire come vivere senza volare.
Per pura combinazione Flow – Un mondo da salvare, diretto da Gints Zilbalodis, esce a poca distanza da un film diversissimo, Il robot selvaggio, ma con elementi in comune: la totale mancanza di esseri umani; un gruppo di animali eterogenei che dovranno fare fronte comune per sopravvivere.
Gli animali di Flow sono abbozzati con tratto impressionista, a confronto di paesaggi definiti e curatissimi, ma i loro movimenti e comportamenti sono invece netti e ben definiti. Non c'è umanizzazione, ogni protagonista si muove e agisce come appartente alla sua specie, ma riesce lo stesso nell'impresa di comunicare con gli altri.
Paesaggio ed elementi naturali come acqua e pioggia sono coprotagonisti del film, dalla resa tecnica accuratissima.
Il tema della devastazione dell'ambiente è esplicito in Flow. La marea che sommerge ogni costrutto umano è inesorabile e ci mostra che, nonostante l'azione antropica, il pianeta in quanto tale un suo equilibrio lo troverà. Ma spetta a noi esseri umani mettere in campo le azioni necessarie, perché se un gruppo di animali comprende che siamo tutti nella stessa barca, non si capisce perché non lo comprendiamo anche noi che ci definiamo "intelligenti".
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