La giovane agente dell’FBI Lee Harker sa di possedere un potere particolare, poiché riesce a vedere cose che per gli altri sono impossibili da cogliere, come distinguere tra le tante villette di un qualunque quartiere, proprio quella in cui si nasconde un assassino. Per questo viene chiamata dal suo capo William Carter a dare un’occhiata a un vecchio caso che sembra ormai impantanato, quello di un gruppo di famiglie che negli ultimi vent’anni sono state sterminate dal padre, impazzito improvvisamente prima di togliersi la vita. L’unico indizio lasciato sul luogo del delitto è una lettera scritta con un codice che non è stato ancora identificato e firmata da Longlegs. Eppure la scientifica giura che le scene sono pulite, e dunque come ha fatto Longlegs a far compiere quegli atroci omicidi? E perché Lee sembra in qualche modo connessa a questo serial killer?
Longlegs di Oz Perkins (figlio del famoso Anthony protagonista di Psyco) non è il film più spaventoso del 2024 come un’abile campagna marketing ha dichiarato, ma è una pellicola non troppo mainstream che pure ha riscosso un ottimo successo, creando un’aspettativa enorme, specie in quei paesi come l’Italia, in cui la distribuzione ha tardato ad arrivare. La scelta di far uscire al cinema la pellicola ad Halloween potrebbe far credere di trovarsi di fronte al solito horror, cosa lontana sia da ciò che è Longlegs ma anche dalle sue ambizioni. Di certo ci sono degli elementi soprannaturali ma è nella suspence e nell’inquietudine create abilmente dalla messa in scena, che Perkins gioca la sua partita.
Già nelle sue tre opere precedenti (February – L'innocenza del male, Sono la bella creatura che vive in questa casa, Gretel e Hansel) Perkins aveva dato prova di un gusto estetico mirato a creare un senso di disagio nello spettatore, e in Longlegs tale progetto arriva al suo apice. L’uso della semi oscurità in stanze buie con lampade che più che illuminare creano delle ombre e che contrasta con gli esterni chiari ma con un cielo costantemente nuvoloso, crea un look che ricorda molto la prima stagione di Twin Peaks. Perkins usa inquadrature quasi sempre fisse con scene lunghe, ritmi dilatati e musiche stridenti. I personaggi poi, non sono non danno allo spettatore un senso di immedesimazione ma sono esseri da osservare a distanza come fossero degli insetti. Lo stesso Nicolas Cage irriconoscibile dietro al trucco crea disagio, ma anche pena o disprezzo, molto di più che paura.
Longlegs è, al pari di ciò che sono stati Il silenzio degli Innocenti e Seven (molti lo paragonano a queste pellicole) un modello di estetica al quale i futuri thriller soprannaturali o meno, non potranno esimersi dal confronto, più che un modello narrativo. Non è un caso che Oz Perkins ambienti il suo film negli anni novanta, che la sua protagonista sia una donna anche se molto diversa da Clarice Starling, e che i tagli di colore specie negli interni, richiamino molto le luci soffuse e oblique di Seven. Perkins riesce a rielaborare tutte queste suggestioni inserendo l’elemento soprannaturale e infondendo in tal modo un senso di malessere che pervade tutto il film, come se ci fosse sempre qualcosa di sbagliato difficile da identificare. Longlegs sembra un ipnotico mix tra le inquietudini che coinvolgono il soprannaturale del cinema di Lynch e quello rigoroso di Demme, un miracoloso equilibrio che affascina più che far paura.
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