Metz, provincia francese, è la location di Noi e Loro, film che narra di un dramma familiare, quello di un padre e due figli, tra loro molto uniti. Il loro legame però sarà messo alla prova da dolorose vicende.
Non saranno le grida di rabbia del primogenito a vincere, né la bontà del figlio minore, ma la resilienza e la determinazione del padre, che non lascerà neppure un attimo il timone, non fino a quando la nave declinerà alla deriva.
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Vincent Lindon (Pierre), nel ruolo del padre single, che dopo la morte della moglie cresce da solo i suoi due figli, Fus il primogenito, e Louis il più giovane. Pierre ritorna a casa ogni sera dopo il duro lavoro in miniera, e il suo primo pensiero è rivolto ai figli. Unicamente a loro. Il suo senso di responsabilità è tanto profondo quanto forse ai limiti della libertà e dell’autodeterminazione filiale. In casa l’aria è tesa, a tratti asfissiante; a risentire della corda stretta è Fus , il figlio maggiore, che nel grigiore del suo quotidiano da acerbo metalmeccanico, sopravvivono poche parole, molte grida e infiniti silenzi. Nonostante il rapporto complicato che si insinuava tra le mura di casa, Pierre ha le idee chiare, e fila dritto senza esitare.
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Una vita asciutta la sua, scevra da qualsivoglia perditempo, salvo non fosse utile alla crescita dei figli; lavora duro, meticoloso, metodico, e pur se diviso tra mille impegni, non distoglie mai lo sguardo dai figli. E quando il più grande, Fus, prende la sua borsa e scappa via, balbetta qualche sillaba più che un saluto, Pierre in cuor suo comprende, e fermo sulle sue idee, teme solo le cattive compagnie che il primogenito milita: giovani arrabbiati, di estrema destra, e di certo si riuniscono non per condividere la vita. A Pierre non resta che sperare che suo figlio non si cacci in guai grossi.
Il apporto di fiducia tra padre e figlio si consumerà, fino al limite delle forze, fino all’irreversibile.
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Louis, il più giovane (Stefan Crepon) sta per lasciare casa per andare alla Sorbona di Parigi, è l’incarnazione di tutti gli ideali e le speranze paterne; è il conforto e il balsamo sulle ferite che Fus infligge al padre. Louis è sempre accanto a suo fratello, nelle gioie e nei dolori, ma non sceglierà di seguirlo nel buio.
La sceneggiatura, che a tratti si palesa in simboli e cultura neofascista (tatuaggi, disegni ecc…), traccia bene i punti cardinali di ciascun personaggio, come gli affanni del padre, la profonda solitudine di Fus, e l’innocenza del figlio minore. I tre tanto diversi tra loro , eppure uniti da un legame forte, vivranno gran parte della loro vita nella stessa casa, piena di contrasti, di luce e ombre, di amore e odio, di silenzi e di grida.
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La correttezza di Pierre, l’ultimo segno d’amore del padre verso primogenito, non ha ombre, né mezzi termini, è nitido, responsabile, e si addossa ogni colpa per non aver saputo evitare a sé e a Fus un destino tanto amaro.
Un film che scuote le coscienze e che stimola il senso di responsabilità sociale, prima che di quella personale. Il dramma del film è in fono un po’ di tutti, lo specchio di una società moderna, in cui la comunicazione tra le diverse generazioni è delicata, difficile, a tratti assente.
Forse potrebbe non esser chiaro chi sia davvero la vittima e chi il carnefice, ma ciascuno conosce bene il ruolo che occupa nel mondo, e ciò che dovrebbe fare.
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