Il Nibbio prende il nome dal soprannome di Nicola Calipari, il generale del SISMI, ovvero il servizio segreto militare italiano che trattò la liberazione, e la ottenne, della giornalista Giuliana Sgrena, rapita in Iraq da una fazione sunnita della resistenza all’occupazione statunitense. Sono passati quasi vent’anni da quegli eventi, 28 giorni alla fine dei quali, mentre Calipari e un autista portavano Sgrena all’aeroporto per condurla in Italia, il 4 marzo 2005, una pattuglia sparò sull’auto dove si trovavano. Calipari fece scudo con il suo corpo alla giornalista e rimase ucciso, assolvendo fino all’ultimo al suo compito.
I 28 giorni precedenti erano stati molto tesi, con trattative non gradite ai vertici statunitensi, che non volevano dare legittimità a quelli che consideravano “terroristi”.
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La sceneggiatura di Sandro Petraglia (La meglio gioventù, Suburra), si concentra soprattutto su Calipari, su come si mosse, su come ha gestito i rapporti con amici, colleghi e il compagno di Sgrena. Viene dato anche spazio alla sua famiglia, moglie e figli, a come volesse mantenere un difficile equilibrio tra lavoro e vita privata.
Alessandro Tonda riesce a raccontare un film ad alta tensione senza che questo riguardi spettacolari scene d’azione. Non si tratta di una storia in cui tutto si risolve con proditorie azioni e sparatorie. Anzi, le cose purtroppo declineranno in tragedia proprio quando risuoneranno le armi. Ma se manca l’azione, non manca la tensione narrativa. L’essere un passo avanti ai personaggi della vicenda non smorza la suspense, che viene accentuata anche dal ritmo impresso alla sceneggiatura.
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Claudio Santamaria è un Calipari che è ben lontano dagli stereotipi dell’agente segreto, e riesce a restituire con immediatezza e umanità sia la dimensione privata che quella professionale. Ne viene fuori una figura fortemente empatica, sia nei confronti della vittima da salvare, sia nei confronti dei soggetti con cui trattare, che non vengono visti come avversari da abbattere, ma persone da convincere, con le quali trovare un terreno di dialogo.
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La vicenda è concentrata su Calipari, pertanto Giuliana Sgrena appare solo per quanto riguarda il suo sequestro e fino al momento dell’uccisione del funzionario, Sonia Bergamasco si cala inizialmente nel personaggio senza sfumature, come è credibile che sia considerate le circostanze. È palpabile il senso di rabbiosa paura che prova sentendosi condannata. I precedenti rapimenti non davano motivo di pensare a un esito diverso. Muta registri solo quando l’evoluzione degli eventi porta Sgrena a sperare che ci sia una concreta possibilità di uscirne viva. Così come il suo personaggio si scioglie dal blocco di paura, anche la recitazione mostra sfumature più ampie.
Il Nibbio è pura narrazione di eventi. A colpire, alla fine della visione, è la mancanza di retoriche, di sermoni, per un film che resta concentrato sulla sua finestra di eventi, sui suoi personaggi, senza pretesa di tracciare complicate analisi storiche e geopolitiche, lasciando ad altri questo compito.
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