Il nostro aspetto è parte della nostra identità? A questo interrogativo pare rispondere A different Man, la storia di Edward (Sebastian Stan), che sogna di diventare attore, di conquistare l'amore della bella vicina Ingrid (Renate Reinsve), ma che sente tutto il peso di portare in giro il suo volto, trasfigurato da una malattia.
Quando gli si offre la possibilità di offrirsi come cavia di una cura sperimentale accetta quindi, pieno di speranze. L'esito andrà oltre ogni aspettativa. Con il volto di un uomo di bell'aspetto cambia radicalmente la sua vita, persino il suo nome, in Guy, ma resta insoddisfatto. Quando partecipa come attore alle selezioni per una rappresentazione teatrale della sua vecchia vita, la cui autrice è proprio Ingrid, pensa che non ci sia nessuno migliore di lui per interpretarla.
Ma a questo punto irrompe sulla scena Oswald (Adam Pearson), che è nelle condizioni in cui si trovava prima Edward/Guy. Ed è specchiandosi in Oswald e nella sua socialità prorompente che Edward si rende conto che non era il volto che lo definiva e che, forse, ha perso più di quanto ha guadagnato. E questo lo spiazzerà in modo imprevedibile.
A different man, diretto da Aaron Schimberg, ha un inizio che ricorda il body horror cronenberghiano. Anche la fotografia e l'allestimento generale ricordano il film dei tardi anni '70, primi anni '80. Nel primo atto si assiste alla metamorfosi tipica dell'horror fantascientifico, nella quale il protagonista, spinto dall'anelito al cambiamento del suo stato, fa di tutto per ottenerlo. Questo ogni appassionato di horror sa che porterà alla trasformazione nel "mostro". Si pensi a Seth Brundle che diventa poi La Mosca. Qui sembriamo andare in direzione opposta, ma a guardare bene il "messaggio" neanche troppo velato è che il "mostro" non ha per forza un aspetto mostruoso, anzi, può essere di bell'aspetto, perché la "mostruosità" e la "bellezza" sono del tutto interiori.
Se ho messo queste definizioni tra apici è perché razionalmente, nonostante la ripugnanza che certe visioni può darci in modo del tutto fuori dal nostro controllo, sappiamo che l'aspetto esteriore non è lombrosianamente legato alla interiorità. Ma è inutile nasconderci che il mondo è fatto così, di apparenze.
Ecco quindi che Guy è il mostro della storia. Un uomo non in pace con se stesso, che con il suo volto ha perso anche la sua anima.
Nel suo passaggio dall'orrore visivo all'orrore dell'anima il film diventa anche meta-narrativo. Adam Pearson è effettivamente affetto da neurofibromatosi, pertanto il racconto della messa in scena della vita di Edward è come se fosse il racconto di una differente versione della vita di Adam.
Il limite di A different man è che per arrivare ad esplicare la sua tesi il film impiega più del dovuto, avviluppandosi in una ridondante parte centrale, tra la fine del secondo atto e l'inizio del terzo. Ma più volte il film si avvolge a spirale, ricordandoci, qualora ce li fossimo dimenticati, i suoi messaggi.
Le interazioni del terzetto di protagonisti sono il maggior punto di forza del film, con Sebastian Stan che dimostra di aver raggiunto la sua maturità artistica.
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