Riportiamo un breve estratto dal libro su J. K. Rowling nella serie Telling Tales sugli scrittori per l’infanzia più famosi della Gran Bretagna, prodotto da Edgemont Books, £2.99 ognuno. La serie comprende anche Anne Fine, Jacqueline Wilson e Michael Mopurgo. (da www.hogwarts-network.com)

Nell'intervista la Rowling interviene a proposito delle traduzioni effettuate nei paesi in cui Harry Potter è stato pubblicato. Curiosi di sapere cosa pensa dell'Italia? Proseguite la lettura

I Suoi libri sono stati tradotti ora in almeno 50 lingue. Cosa ne pensa delle diverse versioni?

Recentemente ho ricevuto copie del primo Harry tradotto in giapponese – è bello. Ma penso che la traduzione che mi ha colpito di più sia quella greca.

A volte trovo strane, piccole anormalità. Nella traduzione spagnola, il rospo di Neville Paciock – che perde in continuazione – è stato tradotto come tartaruga. Il che sicuramente rende il fatto di perderlo molto più difficile. E non c’è nessun cenno dell’acqua in cui vive. Non voglio pensarci troppo…Nella traduzione italiana, il professor Dumbledore è stato tradotto come “Professore Silencio” [in realtà è “Silente”, la Rowling si ricorda male, N. d. T.]. La traduttrice ha preso il “dumb” [in inglese significa “muto”, N. d. T.] dal nome e ha basato la traduzione su questo. In realtà “dumbledore” è la parola antica per calabrone. L’ho scelto perché mi immagino questo mago benigno, sempre in movimento, che mormora tra sé, e mi piace molto anche il suono della parola. Per me “Silencio” è una totale contraddizione. Ma il libro è moto popolare in Italia – quindi, ovviamente agli italiani non importa!

Pensa che finirà tutti e sette i romanzi di Harry Potter?

Assolutamente – se non altro per me stessa.

Che cosa farà una volta completato il settimo?

Sarà una cosa incredibile finire i libri. Sarà stato davvero molto tempo che avrò passato con questi personaggi nella mia testa e so che sarà triste lasciarli. Ma so che li lascerò in pace.

Sono sicura che scriverò sempre, almeno finché non comincerò a dare i numeri, Sono molto, molto fortunata.

Per il successo di Harry Potter. Non ho bisogno di farlo da un punto di vista finanziario, nessuno mi costringe. Ho solo bisogno di farlo per me stessa. A volte penso di essere adatta, per quanto riguarda il mio temperamento, ad essere una scrittrice solo moderatamente famosa, con l’attenzione puntata sui libri invece che su di me. E’ stato già abbastanza meraviglioso pubblicare un mio libro. La ricompensa più grande è l’entusiasmo dei lettori.

Ci sono delle volte – e non voglio sembrare ingrata – in cui darei volentieri indietro un po’ dei soldi in cambio di un po’ di tempo e di pace per scrivere. Questo è stato lo stress più grande, soprattutto mentre scrivevo il quarto libro. Sono diventata famosa e non mi sento molto a mio agio così. A causa della fama, delle cose veramente difficili sono accadute e c’è voluta molta forza di volontà per scacciarle dalla mia mente. E ho anche dovuto fare salti mortali per districarmi tra la pressione per promuovere ogni libro e quella dai lettori – e da me stessa – per finire il prossimo. Ci sono state alcune settimane nere in cui mi sono chiesta se ne valeva la pena ma sono andata avanti, faticosamente.

Se prendete qualsiasi persona famosa, ci sono sempre dei problemi che la accompagnano, e non è piacevole. Ma lo stesso so che sono una persona straordinariamente fortunata, che fa quello che ama di più al mondo.

Sempre a proposito di traduzioni riteniamo significativo riportare quanto dichiarato dalla traduttrice ufficiale, Beatrice Masini, in un'intervista apparsa su iBS:

Quali gioie e quali dolori ci sono nel tradurre un best seller come Harry Potter?

Le gioie: divertirsi a traghettare verso i ragazzi italiani un libro così popolare e vedersi piovere addosso un po' di polvere di stelle di riflesso. I dolori: il pensiero che ci sono parecchi altri libri (non tantissimi, ma parecchi sì) che meriterebbero altrettanta attenzione.

Quali altre sfide presentano i romanzi di Harry Potter?

Qualche parte in versi, che è sempre divertente; e la necessità di trovare un giusto equilibrio fra l'affannosa ricerca di sinonimi (tipica di noi italiani) e il diritto del libro alla sua semplicità. Mi spiego: il "he said, she said" che accompagna i dialoghi (in tutti i libri inglesi e americani, intendo) spesso viene tradotto in italiano con "replicò, ribatté, rispose, obiettò" per cercare di variare il testo. Ma in realtà tanti "disse" non sono fastidiosi, rendono più rapida la lettura. Ovviamente questa è una mia opinione. E anch'io ricorro a qualche sinonimo quando la reiterazione diventa irritante. È una questione di equilibri, appunto, e non c'è una regola. C'è solo il suono del testo, che va ascoltato.

Ha avuto contatti con la Rowling?

Mai.