Quando i laghi erano miele e la vita lunga un’Era,
ed eran sei i mesi d’estate gli altri sei di primavera,
sopra un prato di lumache sul finire della sera,
c’era allora, l’ho saputo, di sicuro c’era c’era…
…una vispa congrega di bimbetti, tredici in tutto, che giocava al Girotondo. I dodici maschietti si tenevano per mano, con la schiena rivolta all’interno del cerchio, e giravano in tondo in senso antiorario; all’interno del circolo una bambina con le treccine, alta un soldo di cacio, piroettava nello spazio di un decimetro quadrato.
- Io la so così, – disse un biondino dagli occhi vispi, mentre giravano piano, – me l’ha insegnata il nonno:
giro Girotondo,
casca il mondo,
casca la terra,
tutti giù per terra.
- Bleh! – lo rimbeccò un bambino tutto ciccia con la testa rasata. – Detta così fa schifo.
- Dilla tu, allora – lo sfidò il biondino, con aria risentita. – Scommetto che te ne hanno suggerita una i pidocchi.
E l’altro, tutto contento, recitò la sua versione:
giro Girotondo,
cavallo imperatondo,
cavallo d’argento che costa cinquecento;
centocinquanta la gallina canta,
lasciala cantare si vuole maritare;
le voglio dar cipolla
cipolla è troppo forte le voglio dar la Morte,
la Morte è troppo scura le voglio dar la luna,
la luna è troppo bella c’è dentro mia sorella,
prepara i biscottini per i bravi bambini,
i bambini stanno male vanno tutti all’ospedale,
l’ospedale sta lassù dagli un calcio e buttalo giù.
Il circolo di bimbi si contrasse e poi tornò ad allargarsi. Come un cuore pulsante.
- Questa non mi piace per niente: c’è la Morte! – disse un bimbetto con il labbro leporino. Lacrimoni gli rigarono le guance, ma non smise di girare in tondo, trascinato lungo il perimetro del cerchio immaginario disegnato dal movimento della combriccola.
- Io ne so un’altra – dichiarò un bimbetto magro con i capelli rossi. – Fa così:
giro Girotondo,
che ci faccio in questo mondo?
Ci faccio quel che posso,
col mio groppone addosso.
Quando non ne posso più,
piglio le gambe e mi butto giù.
- Bravo scemo! – lo schernì il bambino tutto ciccia di prima. – Così alla fine muori lo stesso.
- Allora me lo fate apposta! – singhiozzò il bimbo con il labbro leporino.
- La Morte, la Morte… Ecco che arriva! – gridarono tutti gli altri, facendo occhi cattivi e spernacchiando.
- Basta! Lasciatelo in pace! Continuate così e vedrete che se la fa addosso. Poi glielo spiegate voi a sua madre. – A rimproverarli era stata la bimba alta un soldo di cacio, quella che piroettava al centro del Girotondo. – Adesso ve la dico io una filastrocca, ve la dico io che avevo una bisnonna scozzese, di Auldearne. Si chiamava come me, Isobel, e ne sapeva tante. Ne ricordo una bella che diceva così:
Horse and Hattock!
Horse and go!
Horse and pellatis
Ho, ho, ho…
Horse and Hattock…
Fu in quel momento che, sul tappeto di lumache, si materializzò un essere bizzarro e interruppe filastrocca e Girotondo. Con orecchie puntute, barba e baffi sporchi di terra, grosso quanto un uomo robusto di statura media, vestiva una calzamaglia verde pisello e una blusa di un verde più scuro, tenuta stretta alla vita da una cintura di cuoio; dello stesso colore della blusa erano copricapo e scarpe, l’uno e le altre a punta, di stoffa floscia: – Basta così, mocciosi incompetenti! – ammonì. – Non sapete nemmeno quello che dite.
- E tu chi sei? – chiese un bambino strabico, con il muso impiastricciato di cioccolata.
Il tipo in calzamaglia divaricò le gambe, portò le mani ai fianchi, sollevò il mento in espressione regale, e fece per presentarsi. Ma non riuscì a profferire parola, perché il bimbo con il labbro leporino risucchiò con il naso il moccio che colava sul labbro superiore e lo anticipò: – Ehi! Peter Pan da grande!
Le guance dell’apparizione raggiunsero la tonalità verde eucalipto della blusa. – Zitto, piscialletto! Io sono Robin Goodfellow, Re degli Elfi e Sovrano del Piccolo Popolo, conosciuto anche come Puck, come Robin Hood o anche come Hobglobin.
- Naaah!… Lo sbeffeggiò il bambino tutto ciccia. – Per essere un elfo hai urgente bisogno di una dieta. Chi credi di prendere in giro? Gli elfi sono esseri magici così minuti che possono abitare un guscio di noce o cavalcare una farfalla, e hanno ali leggere come tele di ragno…
Robin Goodfellow digrignò i denti in un’espressione tanto minacciosa che il bambino non osò continuare. – Tu, pallina di lardo, cosa credi di sapere sulle caratteristiche somatiche degli elfi? Te lo dico io com’è andata. Tutta colpa di Shakespeare: l’idea che avete voi umani moderni degli esseri magici la dovete proprio a Contafrottole William, che scrisse quella brutta recita, A Midsummer Night's Dream. E’ da quella stupida commedia che gli elfi, nel vostro immaginario, presero a diventare sempre più piccoli fino a raggiungere dimensioni da insetto. E questo, naturalmente, vale anche per le fate. La verità è che, dal punto di vista fisico, elfi e fate sono sempre stati simili agli umani, e un elfo o una fata, un tempo questo gli uomini lo sapevano, possono essere tranquillamente scambiati per esseri mortali. Ma che mi metto a raccontare a voi caccolosi pisciasotto. Scommetto che non sapete nemmeno chi era, William Shakespeare.
- Io lo so – disse la bambina con le treccine in tono perfido, sibilante. Si fece avanti e gli puntò l’indice dritto sul naso. – E so anche perché non lo sopporti.
- Sarebbe?
- Sarebbe che Shakespeare, in quella notte di mezza estate, ti ha detronizzato, preferendoti Oberon. E’ per questo motivo che lo odi, confessa! Da quel momento tu, caro il mio Robin, sei stato declassato: da Dio degli Elfi, rispettato e temuto, a elfo qualunque.
Robin deglutì rumorosamente, come uno che ingoia un rospo gigante. – Per tutte le streghe del Nord! Giuro che mi avete stancato. Come vi permettete? Io sono il terrore, io sono l’orrore, io sono Robin Goodfellow! – tuonò. – Gli umani hanno inventato fior di scongiuri per tenermi a bada, come quello che recita: Saint Francis and Saint Benedight, bless this house from wicked wight, from the nightmare and the goblin, that is hight Goodfellow Robin… E potrei citarvene altri, ma non sono qui per intrattenere conversazione con una banda di mocciosi ignoranti.
- E allora perché la Terrificante Maestà Vostra ci ha voluto onorare? – chiese in tono sfottente il bimbo tutta ciccia, accompagnando l’ironia con un inchino maldestro.
- Siete stati voi a chiamarmi, stupido ciccione!
I bambini si scambiarono sguardi interrogativi. Fu la bimba con le treccine a riacquistare la parola per prima. – Noi? Ma che sciocchezza! Giocavamo solo al Girotondo, noi.
- Appunto. Questo dimostra che ho ragione? Ho di fronte dei piccoli ignoranti… In quanti siete?
La bimba contò le teste. – Dodici.
- Dodici, più una mocciosa saccente al centro del circolo. Tredici in tutto, che danzano in tondo sopra un letto di lumache, con la parte anteriore del corpo rivolta verso l’esterno del cerchio. E che giorno è oggi?
- Che domande! Oggi possiamo giocare tutto il pomeriggio perché non c’è scuola, siamo alla vigilia d’Ognissanti – disse pronta la bambina.
Robin le rivolse una specie di ghigno malevolo. – Già. Adesso aggiungi la filastrocca, e se a due sai sommare due scoprirai che voi piccoli piscialletto avete messo insieme una bella evocazione diabolica.
- Ma va’! Tu hai un problema, caro il mio elfo retrocesso, soffri di mania di protagonismo. L’ho già detto, noi stavamo solo giocando al Girotondo.
- Che è una danza imitativa della danza in tondo, la quale insieme alla danza in processione è una delle cerimonie più frequentate da elfi e fate. Il fatto è che di solito le danze imitative non riproducono i gesti rituali d’origine e risultano quindi prive di efficacia; nel Girotondo, che prima di diventare un gioco per marmocchi era cosa ben diversa, i gesti sono semplificati, non c’è nessuno al centro del circolo, si gira quasi sempre rivolti verso l’interno e, soprattutto, le filastrocche non sono quelle giuste. Di solito. Ma voi, malauguratamente, avete eseguito una danza in tondo secondo tutte le regole, filastrocca compresa. E siamo alla vigilia d’Ognissanti. Capisci adesso?
- E no! Non quadra per niente – replicò la bimba alta un soldo di cacio. – Ci sono un sacco di cose piuttosto confuse. Per esempio, che c’entri tu con Robin Hood? E poi, se abbiamo fatto un’evocazione diabolica, perché è venuto uno che dice di essere un elfo? E quale sarebbe, fra quelle che abbiamo recitato, la filastrocca efficace?
- Guarda, mocciosa, che io e Robin Hood traiamo origine comune dalla religione più antica del mondo, vecchia come l’uomo, dal culto del Dio Cornuto. Per metterti sulla strada potrei dirti, per esempio, che anche Robin Hood era accompagnato da una congrega di dodici compagni, e che uno di questi era Little John, in lingua basca Janicot, altro nome di Hornet God, il Dio con le corna. Per quanto riguarda la formula poi… Ehi! Ma io non ho intenzione di perdere tempo per rispondere alle tue stupide domande. Adesso vi dico cosa fare per rispedirmi da dove sono venuto e la chiudiamo qui.
- Perché? Non puoi tornartene a casa da solo?
- No. Mi avete evocato con il rituale codificato. Così adesso bisogna che mi congediate con formule e rituale altrettanto esatti. E’ l’unico modo per…
- A sì? Un momento, allora – l’interruppe Isobel con un sorriso enigmatico, e chiamò a raccolta i dodici compagni. Si allontanarono un pochino e fecero mucchio come una squadra di rugby che vuole caricarsi prima di un’azione importante. Confabularono qualche secondo, poi la riunione si sciolse.
- Abbiamo preso la nostra decisione – disse all’elfo la bambina. – Faremo quanto ci chiedi per rimandarti indietro… ma a un’unica condizione.
- E cioè? – chiese Robin Goodfellow in un grugnito sospettoso.
- Dovrai prima rispondere a tutte le domande che vorremo porti sugli elfi, le fate, le evocazioni… Quelle cose lì, insomma.
Robin recuperò la postura alla Peter Pan, mani sui fianchi e mento al cielo. – Mai! – dichiarò.
- Benissimo. Noi ce ne torniamo a casa – disse Isobel, ordinando la ritirata con un gesto deciso del braccio, da generale esperto. – Ti lasciamo a pascolare le lumache.
- Fermi tutti! – gridò Robin. – Voi non andate da nessuna parte. Non prima di aver eseguito correttamente il rito di congedo.
- E allora? – La bambina continuava ad allontanarsi con lentezza, imitata dai compagni.
Il viso di Robin riguadagnò la tonalità verde eucalipto, poi cambiò ancora stabilizzandosi sul rosso corallo. – Per tutti i patti infernali! E poi dicono che sono io l’essere maligno… D’accordo, d’accordo, marmocchi pestiferi! Avanti con le domande, ma diamoci una mossa.
I monelli tornarono sui loro passi. L’elfo si mise a sedere a gambe incrociate e i bambini fecero lo stesso, accomodandosi davanti a lui in semicerchio. Le lumache che si schiacciavano produssero uno sciacchetesciacchete osceno.
(continua)
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