Quando i fiumi eran di grappa ed i mari di barbera,
ed i pesci eran loquaci e viaggiavano in corriera,
sopra un prato di lumache sul finire della sera,
c’era allora, l’ho già detto, di sicuro c’era c’era…
…una vispa congrega di bimbetti, tredici in tutto, che non stava più nella pelle all’idea di torchiare l’essere buffo che si era presentato come Robin Goodfellow.
- Chi comincia? – sollecitò l’elfo, passando in rassegna con sguardo torvo i marmocchi seduti davanti a lui in semicerchio.
- Tocca a te, Isobel. Sei tu che l’hai incastrato – disse singhiozzando il bimbo con il labbro leporino, e tirò su un moccolo che aveva già raggiunto la fossetta del mento.
- Chiedigli della filastrocca – suggerì il bimbetto magro con i capelli rossi.
- No, che ci racconti delle fate e degli elfi – obiettò quello tutto ciccia.
- No, di Robin Hood, di Robin Hood… – strepitò uno con le guance coperte di lentiggini grosse come lenticchie.
- Basta! – tuonò l’elfo. – Qui urge definire il limite.
- Sarebbe a dire? – domandò Isobel, con aria sospettosa.
- Che questa è una fiaba, e anche le fiabe hanno le loro regole. E che anche le regole delle fiabe vanno rispettate. In questa mi avete abilmente incastrato e così sono costretto a giocare il vostro gioco, e questo è un fatto. Ma le regole valgono anche per voi.
- Spiegati meglio – lo incalzò Isobel.
- E’ semplice: l’avermi messo con le spalle al muro vi dà il diritto di formulare tre domande, non una di più, non una di meno. A quelle domande sarò costretto a rispondere in modo esauriente. Dopodiché potrò ritornarmene da dove sono venuto anche senza rituale di congedo.
- Solo tre? Non erano questi i patti – protestò il bambino tutto ciccia.
- E’ una regola fondamentale delle fiabe: tre devono essere le piume, tre le melarance, sempre tre le prove da superare per sposare la principessa, e non più di tre i desideri esprimibili per aver rubato il copricapo rosso a un folletto o per aver liberato un genio strofinando vasi da notte, lampade, brocche e altre cianfrusaglie. E tre devono essere le domande.
- Mmm… Non mi convince – riflettè Isobel. – Credo che tu l’abbia inventata sul momento, questa regola… – Sbirciò le espressioni dei compagni e, con tono perentorio, ordinò un nuovo raduno: – Ragazzi, a me!
La combriccola si alzò dal tappeto di lumache e rifece mucchio. Pochi secondi di consultazione, poi il capannello si sciolse e i bambini riguadagnarono le posizioni attorno a Robin Goodfellow.
- D’accordo! – comunicò Isobel.
- D’accordo cosa? – Il folletto la scrutò con aria indagatrice e un po’ preoccupata.
- Vada per le tre domande. – confermò la bambina. – Ed ecco, allora, che ti chiedo: com’è possibile che tu esista?
Robin schiuse le labbra come per dire qualcosa, ma poi le riavvicinò e aggrottò la fronte. Isobel si rimise in piedi e lo fissò con una levigata faccia di bronzo. – Ecco, la prima domanda è quella che ti ho appena posto. C’è qualcosa che non va?
Le guance del folletto proposero una nuova mutazione cromatica, raggiungendo lentamente un bel colore grigio asfissia. – Ma ti rendi conto, mocciosa pestifera, delle implicazioni? E’ come se mi avessi chiesto di spifferare tutto, di vuotare il sacco, di vomitare il rospo, di…
- Già, – l’interruppe Isobel, – e tu sai bene che se non rispetti i patti, passi il resto della tua esistenza, che immagino eterna, a pascere le lumache di questo prato.
Robin bestemmiò in un dialetto elfico, si contorse per la rabbia e tremò tutto. Il moccioso con il labbro leporino, atterrito, singhiozzò più forte.
- Vogliamo cominciare? – sollecitò il bambino tutto ciccia. – Qui si fa notte.
- Ha ragione – l’appoggiò un moretto con incisivi da coniglio imprigionati in un raddrizzadenti luccicante. – Per colpa di questo spaventapasseri rischiamo tutti botte da orbi, stasera al rientro.
Isobel strizzò l’occhio all’elfo e gli sussurrò con fare confidenziale: – Ti conviene rispondere in modo esauriente, Robin, e in fretta. Se questi si fanno prendere dalla paura di buscare legnate dai loro genitori, magari scappano via anzitempo e tu perdi il biglietto di ritorno.
Robin Goodfellow ingoiò un secondo rospo gigante e si arrese. – Com’è possibile che io esista?… Per rispondere alla domanda dovrò parlarvi della Vecchia Religione, del culto del Dio con le corna, del culto di Hornet God. Perché io esisto solo in quanto la Vecchia Religione esiste. Dovete sapere che la divisione delle potenze superumane fra forze del Bene e forze del Male era sconosciuta alle popolazioni primitive, tant’è che negli antichi culti la Divinità era artefice sia del Bene che del Male. E quando dico “popolazioni primitive” mi riferisco a uomini vissuti in tempi lontanissimi, a culti che sbocciarono all’interno di raggruppamenti tribali dell’era paleolitica. Le divinità con le corna venerate in quell’era preistorica si riferiscono non a dèmoni, appunto, ma a esseri superumani onnicomprensivi. Normalmente, ogni comunità venerava un’unica divinità, maschile o femminile, cosicché quando una tribù che celebrava una divinità maschile si univa a una tribù che adorava una divinità femminile l’unione dei due popoli era simboleggiato con un matrimonio fra i loro dèi. Questo meccanismo definì il passaggio da culti sostanzialmente monoteistici a religioni politeiste, collaudando teogonie che furono condivise anche nel successivo neolitico, e poi nell’età del bronzo e nell’età del ferro.
- Ehi, vieni al sodo! – intimò Isobel. – Non ti sembra di essere partito da troppo lontano?
- Bé, sto semplicemente rispondendo alla domanda. Le premesse erano necessarie per definire l’origine di noi esseri cornuti, per stabilire che sono state le religioni più moderne a operare una divisione fra il positivo e il negativo, a identificarci con il Diavolo o, più genericamente, con il Male.
- D’accordo, stai dicendo, in altre parole, che gli esseri cornuti traggono tutti origine da una Religione che si perde nel paleolitico, da questo culto del Dio con le corna. E che in quelle ere remote questo Dio con le corna non si identificava con il Diavolo.
- E’ così.
- Come lo dimostri?… E sia chiaro che siamo ancora nell’ambito della prima domanda.
- Sono le tracce a dimostrarlo. Perché il sopravvenuto dualismo Bene-Male non è riuscito a cancellarle. A dispetto delle modifiche intervenute, la Vecchia Religione ha marchiato con sigilli indelebili il librone della storia.
- Mmm… – bofonchiò Isobel, ancora poco convinta.
Robin non sembrò preoccuparsene e continuò nella spiegazione. – La traccia più antica di una divinità cornuta risale, per l’appunto, al tardo periodo paleolitico, marchiata nella Caverne des Trois Frères, ad Ariège. Lì è raffigurato, con un certo talento artistico, un uomo provvisto di corna ramificate e rivestito con pelle di cervo. L’immagine, circondata da vari altri animali, sembra danzare per un rito di carattere sacro, e risulta in posizione preminente rispetto alle altre bestie. La divinità, fra l’altro, è visibile solo da una posizione angolare, quasi che il disegnatore, per una forma di rispetto, avesse inteso semi occultarla in una sorta di riservatezza sacrale. Così, se è vero che per tutta l’era neolitica la Vecchia Religione fu quasi dimenticata, nella successiva età del bronzo le tracce del culto tornarono numerose, in Medio Oriente, in Egitto, in India, e anche in Babilonia e in Assiria, dove il Dio con le corna venne rappresentato con teste e maschere di rame.
- E che vuol dire? – se ne uscì il bambino tutto ciccia. – Chi ci dice che rappresentassero proprio lo stesso Dio cornuto del paleolitico.
- Te lo dico io, palla di lardo! – lo fulminò l’elfo, spazientito.
Il ciccione diventò tutto rosso e sembrò sul punto di esplodere. Isobel gli allungò un buffetto sulla guancia con fare materno. – Tranquillo. Lascialo continuare.
Robin Goodfellow grugnì e riprese: – Presso alcune popolazioni il numero di corna fu utilizzato anche per stabilire un ordine gerarchico fra le divinità. Presso i babilonesi, per esempio, due corna erano riservate alle divinità minori; nell’Apocalisse l’Agnello divino ha sette corna. E per darvi un’idea di come le istanze della Vecchia Religione perdurarono nei tempi ricorderò qualche altro esempio illuminante. Alessandro Magno, che fu chiamato nel Corano Dhùl Karnain, il Bicornuto, e che si dichiarò al di sopra di tutti i Re della terra, pose sul capo un copricapo con corna. Cosa analoga accadde in Egitto per tutta l’età del bronzo e del ferro. Ammone inizialmente adorato a Tebe, aveva le corna; Khnum, venerato nella regione intorno alla Prima Cateratta, era il Dio creatore con testa di montone e corna orizzontali, e più tardi anche Osiride si cinse di una corona con corna orizzontali. Divinità cornute si possono individuare nelle raffigurazioni indiane rinvenute a Mohenjo-Daro e risalenti all’età del bronzo, e il toro minoico di Creta, il Minotauro, ebbe sembianze umane e testa e corna di toro.
- A me viene in mente Pan, anche lui aveva le corna – interloquì il moccioso magro con i capelli rossi
- Sentilo, il piscialletto colto! – brontolò Robin, piuttosto scocciato per l’interruzione. – Fra le divinità cornute della Grecia peninsulare, Pan è il più conosciuto, ma è solo uno dei tanti. Tuttavia l’esempio che hai citato aiuta ad avvalorare la mia tesi, poiché quel dio ha conservato precise caratteristiche che lo collegano direttamente alla Vecchia Religione.
- Cioè? – chiese Isobel.
- Tanto per cominciare, le corna – disse l’elfo, togliendosi il copricapo floscio e mostrando con orgoglio le sue protuberanze ossee, corte ma robuste. – Come le mie. Poi le zampe di becco, che in origine caratterizzarono anche me e che più tardi, nelle religioni raffinate, divennero peculiarità del Diavolo. Ma, soprattutto, il nome: Pan, dal greco panta, tutto, che testimonia del carattere onnicomprensivo della Divinità dell’antico culto, artefice sia del Bene che del Male.
- E va bene – concesse Isobel. – Ma a questo punto devi proprio spiegarci che cosa c’entra Robin Hood con tutto questo. Lui le corna non le aveva.
- Il cappuccio.
- Il cappuccio? – si stupì il bambino lentigginoso.
- Già, il fatto è che in un certo tipo di simbolismo le corna furono sostituite da cappucci o da altri copricapo dalla foggia bizzarra, e se questo vale per Robin Hood a maggior ragione vale per il popolo elfico e per le fate. Ma torniamo al nostro bandito di Sherwood, i cui punti di contatto con la Vecchia Religione sono numerosi e inconfutabili. Basti considerare che l’appellativo originario è Robin with a Hood, Robin con un cappuccio, che guarda caso corrisponde a un appellativo generico di Hornet God, e che le sue gesta furono celebrate non solo nei luoghi in cui si sviluppò la leggenda, ma in buona parte della Scozia e dell’Inghilterra. Dei dodici compagni e di Little John ho già detto. Ma ciò che bisognerebbe ricordare è che Robin e la sua congrega costituirono elemento essenziale nelle cerimonie di Calendimaggio, in occasione delle quali la congrega eseguiva speciali danze rituali e vestiva di verde. E il verde, credo lo sappiate, è anche il colore delle fate. A questo aggiungete l’avversione di Robin e della sua banda per la Chiesa e i suoi rappresentanti, che avevano soppiantato la Vecchia Religione, e la diceria secondo la quale fu proprio la superiora di un convento a sfasciargli una ferita e a lasciarlo morire dissanguato.
- Mmm… – riflettè Isobel. – Direi, a questo punto, che la risposta alla prima domanda può considerarsi soddisfacente. Ed ecco la seconda: se una congrega ti evoca con danza appropriata e formula esatta tu sei sempre obbligato a presentarti?
- Ma che domanda è? Certo che è così – rispose d’impeto Robin Goodfellow, e mentre lo faceva una specie di presentimento lo gelò. – Perché me lo chiedi? Queste cose dovresti conoscerle, visto che discendi da Isobel Godwie di Audearne, una fra le più famose streghe di Scozia. Non vorrai farmi credere che non lo sapevi, vero?
- A dire il vero ricordavo di avere una nonna scozzese, ma…
- Per tutte le divinità cornute! M’infilzerei la lingua con uno spillone per malefici battesimali. – L’elfo soffiò rabbia e le sue guance tornarono a fiammeggiare. – Bah, ormai quel ch’è detto è detto. Sì, è così, la tua ava fu una strega molto conosciuta, e finì bruciata nel 1662, dopo aver rivelato, sotto tortura, l’esatta enunciazione di alcune formule segrete, filastrocca evocativa compresa. Per fortuna, tenne per sé le altre informazioni che servono a completare il rito. Ma adesso, avanti con la terza e ultima domanda: comincio davvero a spazientirmi.
La bimba con le treccine scambiò sguardi d’intesa con i compagni. – E’ presto fatto, caro il mio elfo. Perché manca soltanto la filastrocca.
- Spiegati meglio – intimò Robin, mentre in lui la preoccupazione cresceva come lievito.
- Bé, ormai conosciamo i movimenti della danza in tondo, sappiamo qual è il numero di danzatori necessario… Manca soltanto una conferma sulla filastrocca, ma abbiamo ancora una domanda a disposizione. E una volta che la conferma ci sarà, potremo evocarti di nuovo, e di nuovo, a nostro piacimento, e ogni volta tu dovrai venire e rispondere a tre domande. Secondo le regole. Secondo le tue regole, amico cornuto.
Robin Goodfellow lanciò un urlo acuto e stridente, simile a quello di un maiale scalciato. – La domanda! La terza domanda, furbastra di una lamia!
- Eccola: qual è l’esatta formula per evocarti in una danza in tondo?
L’essere in calzamaglia verde emise un altro strillo, come di maiale che viene scannato, questa volta. Ma prima di svanire in uno sbuffo di fumo multicolore ottemperò all’obbligo e recitò la formula.
I dodici mocciosi festeggiarono Isobel, sollevandola in trionfo e lanciandola in aria, e molti saltarono scompostamente in un improvvisato ballo di vittoria, e altri si diedero il cinque.
Le lumache che si schiacciavano fecero sciacchetesciacchete.
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