Per affrontare questa parte, ho sfidato me stesso e le mie convinzioni durante la stesura del mio ultimo romanzo. La sfida è stata interrotta a metà per necessità editoriali, ma quanto scritto sino a quel momento è bastato a farmi capire quali sono i vantaggi e quali gli svantaggi cui si va incontro senza avere una mappa, senza ideare l’ambientazione, senza pensare ai personaggi, senza pianificare la trama… senza tutto, insomma, tranne l’idea di ciò che dovrà essere il romanzo.
Via subito il velo su quale sia la mia conclusione: non avere un metodo è fallimentare. Gettarsi a capofitto tra le righe a volte produce effetti sorprendenti, ma nella maggior parte dei casi l’efficacia dell’estro non incanalato ad alcun tipo di ideazione precedente produce testi sempre più scadenti all’aumentare della complessità dell’ambientazione, della quantità di personaggi, della vastità della storia, eccetera eccetera.
Finché la storia è “maneggevole”, la si può maneggiare senza troppe precauzioni. Qualora il vostro romanzo fantasy sia complesso e vasto, racconti di molti personaggi ed eventi, si svolga in una terra che volete rendere vivida e ricca di particolari, be’… avete capito come la penso.
Fin dal principio, vi sia chiaro che non sto bocciando il non-metodo (che in realtà in sé è un metodo, perché richiede accorgimenti anch’esso. Lo chiamerei metodo a posteriori, contrapposto a quello che ho descritto nei precedenti ventisette capitoli, che chiamerei metodo a priori; per semplificare, però, chiamiamolo non-metodo). Semplicemente ritengo il non-metodo inadatto a un certo tipo di opera. Poi, se vi sentite un novello Tolkien e credete di poter scrivere un nuovo Il Signore degli Anelli di getto, senza pianificare nulla, fatelo; ma state dando del cretino a Tolkien, che vi ha lavorato attorno per una vita.
Sarò più diretto e limiterò gli esempi a qualcosa di più abbordabile, per così dire: dubito che la saga de La Ruota del Tempo di Robert Jordan sia stata scritta (e venga scritta tuttora) senza pianificazione. Come sono certo che George R. R. Martin stia scrivendo con metodo la sua saga de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco; ne sono certo grazie a una sua affermazione, secondo la quale a un certo punto si è reso conto di non riuscire più a seguire quanto stava ideando e ha dovuto far ordine. Cosa credete che questo significhi? Pianificazione, un qualche metodo, appunti sparsi ovunque, mappe, schemi, perché scrivere senza architettare prima è sicuramente fallimentare quando si “maneggiano” opere complesse (a scanso di equivoci, la complessità dell’opera non si misura sul numero di pagine, anche se esse sono un campanello d’allarme spesso affidabile).
Andare a estro a volte dà ottimi frutti. È quel “a volte” che mi infastidisce.
Il confine oltre il quale è bene pianificare ciò che affronterete con passione durante la prima stesura non è individuabile, dipende da voi, da come siete, dalla vostra memoria, dalle vostre capacità, da ciò che volete per la vostra storia… non esiste un confine per la fantasia (almeno per lei, beata lei!).
Punto e a capo, dunque.
Ripartiamo da zero e facciamo finta di non avere nulla in mano. Niente mappa, niente appunti sull’ambientazione, dei protagonisti vi ritrovate per le mani soltanto qualche nome e qualche abbozzo di caratterizzazione, avete una meta da raggiungere e l’idea attorno alla quale girare, braccandola, finché non vi sarete guadagnati il pasto addentandola. Della trama? Niente. Un finale, forse; o un inizio. Se siete fortunati, entrambi.
E allora? Chissene frega! È divertente, molto divertente! È puro godimento scrivere in questo modo, perlomeno all’inizio. Andate a briglie sciolte, ogni nuovo orizzonte che i vostri personaggi scorgono per la prima volta è anche per voi una novità: viaggiate con loro, incantati dalle meraviglie che vedete, tanto impreparati alle difficoltà che vi sbarrano la strada da sobbalzare… quante emozioni!
Iniziai così a scrivere, anni fa, ed è meraviglioso; è come sognare a occhi aperti… sembra di tornare bambini e di vedere e assaporare tutto per la prima volta!
Ed è un po’ come non voler crescere.
Pianificare, invece, toglie parte del gusto dell’esplorazione, della scoperta, smussa alcuni picchi emotivi, tuttavia ve ne regala di altri, più raffinati; se galoppate a briglie sciolte potete godervi il vento tra i capelli, i suoni e i profumi… godete del presente in modo intenso, finché non vi fermate. Di contro, se galoppate verso una meta precisa, seguendo una strada precisa, guadagnate una visione d’insieme che vi fa godere del viaggio stesso (e non è detto che a tratti non godiate anche del vento tra i capelli, dei suoni e dei profumi…). E consci del viaggio, lasciatemi aggiungere, ve lo godete anche durante le soste, perché queste ultime a esso appartengono.
Ma è inutile scenda nei dettagli qui, quindi concedetemi questa metafora strampalata e mettiamo un punto. E a capo paragrafo.
Alla prossima volta, con il nuovo paragrafo: l’ambientazione.
1 commenti
Aggiungi un commentoSono contenta che qualcuno supporta la pianificazione.
Io ho sempre pianificato, anche da piccola. Prima di scrivere una storia dovevo già avere le idee chiare in testa, e verso gli 11 anni ho iniziato anche a pianificare per iscritto. Certo, ogni tanto ho scritto anche di getto perchè sentivo che dovevo fare così, ma di solito tendo a studiare a fondo tutti gli aspetti della storia.
C'è da dire che talvolta qualche stesura di getto, senza ispirazione, con imposti limiti ampi (scrivere 100 pagine quando ne vorresti scrivere solo 30) è un buon metodo per comprendere i punti deboli della propria storia e aiuta poi nella pianificazione.
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