“Che cos’è il mito? Per quanto ci attiene, non è semplicemente una leggenda inventata o lo stravolgimento della realtà da parte di credenze popolari ma, come Joseph Campbell amava dire, è la metafora di un mistero che trascende la comprensione umana, è un confronto che ci aiuta a capire, per analogia, alcuni aspetti del nostro Io nascosto. In questi termini, il mito non è finzione ma un modo per raggiungere una verità più profonda”. Sono le parole che Chris Vogler ha usato per introdurre il suo Il viaggio dell’eroe, un saggio che approfondisce la struttura del mito a uso di scrittori di narrativa e cinema. Vogler è stato per anni story analist delle più importanti major hollywoodiane, dalla Warner Bros. alla 20th Century Fox, e la sua tesi che il 90% delle storie moderne siano in realtà il rifacimento della stessa storia (“il mito è una storia che racconta di dei e forze creatrici e del rapporto di tali forze con gli esseri umani”) è inattaccabile eppure sbalorditiva. Lasciandoci catturare da estremi meccanismi deduttivi, potremmo affermare qualcosa che a prima vista può sembrare blasfemo: se è vero che la mitologia e le sue leggende ricche di magia, draghi e cavalieri sono la base del genere fantasy, e se è altrettanto vera la tesi di Vogler, per sillogismo la quasi totalità delle storie narrate oggi racchiude un cuore fantasy.
Prendiamola alla lontana lontana…
Non è certo intenzione di questo approfondimento sostenere o dimostrare un’affermazione così estrema, ma nella massa di storie narrate nei libri o al cinema, c’è un fenomeno che si adatta alla perfezione a un ragionamento di questo tipo. Si tratta di Guerre Stellari, il ciclo con cui il talentuoso George Lucas ha rivoluzionato, alla fine degli anni Settanta, il modo di fare cinema. Si adatta alla perfezione perché il clamoroso successo della trilogia originaria è stato capace di scatenare infinite diatribe che volevano i film catalogati in un genere piuttosto che in un altro. Fenomeni così, si sa, sono capaci di risollevare le sorti di interi filoni, ecco quindi che i sostenitori della fantascienza hanno gridato al capolavoro sf, e così hanno fatto i sostenitori di fantasy, space opera, adventure, addirittura western. Volendo liquidare la questione in due righe, e intendiamo farlo poiché non è questo il fulcro dell’approfondimento, si può affermare che tutti avevano ragione e che Guerre Stellari rappresenta la quintessenza della commistione di generi. È innegabile che una storia piena di navi spaziali, imperi galattici, spade laser e salti iperluce non possa non essere considerata fantascienza, così come è innegabile la presenza di innumerevoli altri elementi che la portino di volta in volta verso tutte le altre classificazioni citate. Lo stesso Lucas, del resto, nel 1974, quando ancora stava scrivendo la sceneggiatura di Una nuova speranza, dichiarò su Film Quarterly: “è space opera nella tradizione di Flash Gordon e Buck Rogers. È James Bond e 2001 combinati, super fantasy, cappa e spada e pistole laser e astronavi che si sparano, e roba del genere. Ma non è pacchiano. È pensato per essere un emozionante film di azione e avventura”. Due anni dopo, su Sight & Sound: “Star Wars è fantasia a trecentosessanta gradi per la gioventù moderna, che non ha avuto l'opportunità di crescere vedendo Flash Gordon e deve invece sorbirsi film inquietanti come Terremoto o Inferno di cristallo”.
Quello che ci interessa è il cuore, la vera essenza della storia, l’elemento che rende la saga di Star Wars una delle storie più rappresentative in assoluto del genere fantasy, forse seconda soltanto a quella del Signore degli Anelli con la quale, per altro, ha un’infinità di punti in comune.
La guerra dei cloni
Ovvero: L’eroe dai mille volti. Torniamo per un attimo a Chris Vogler e al suo Il viaggio dell’eroe. Il saggio, applicato alla scrittura, si rifà a un altro saggio, scritto da Joseph Campbell nel 1949, chiamato appunto L’eroe dai mille volti. Si tratta di un libro scritto, come recita la prefazione dell’autore, “allo scopo di rivelare alcune delle verità celate dietro le immagini delle numerose religioni e mitologie dell’umanità lasciando che il significato originario, distorto nel corso dei secoli, si riveli da sé: riappropriandosi dell’antica capacità di leggere il linguaggio simbolico, l’uomo moderno potrà cogliere nell’ampia varietà dei miti e dei racconti popolari di tutto il mondo, sia occidentale sia orientale, un filo rosso capace di unire le culture di ogni tempo e di ogni paese. I ‘mille volti’ dell’eroe rimandano alle infinite variazioni dello stesso modello archetipo, invariabilmente e sorprendentemente immutato nel tempo e nello spazio, da Osiride a Giasone, da Ulisse a re Artù, dalle statue azteche alle rappresentazioni maya ai Gemelli Guerrieri navaho.”
George Lucas, nel libro del 1990 The Hero's Journey - Joseph Campbell on his Life and Works scrive: Non sapevo cosa stavo facendo a quel tempo (scrivendo Star Wars). Iniziai a lavorarci su, a fare ricerca, a scriverlo, e un anno passò. Scrissi molte bozze di questo lavoro e a un certo punto incappai ne L'eroe dai mille volti. Era la prima volta che iniziai davvero a mettere a fuoco il progetto. Una volta letto il libro dissi a me stesso: ‘è questo il genere di mito che stavo cercando di descrivere, è lui’. […] È possibile che se non mi fossi imbattuto in quel libro starei ancora scrivendo Star Wars.”
Tutti cloni? Vogler sostiene di sì, Lucas non ne fa mistero, e gli infiniti paragoni fatti negli anni tra le varie storie sembrano togliere qualsiasi dubbio. Lo studio sugli archetipi, le fasi del viaggio (non necessariamente fisico) dell’eroe verso la maturazione e la consapevolezza, si presentano sotto molteplici forme ma seguono sempre le stesse regole. Regole che ben rappresentano il comportamento dell’uomo e che per questo si prestano alla perfezione a essere narrate da cinema e letteratura.
Abbiamo parlato di similitudini tra Guerre Stellari e Il Signore degli Anelli. In effetti questo sarebbe un altro facile metodo per tirare fuori tutto il fantasy insito nella saga di Lucas. In realtà questi giochi incrociati, proprio alla luce del pensiero di Vogler, valgono (e sono stati fatti in passato) per la storia di re Artù, Parsifal, Beowulf, L’Anello del Nibelungo. È molto probabile quindi che Lucas non si sia affatto ispirato a Tolkien, bensì che entrambi abbiano cercato di dare vita a modo loro a un mito, e si siano per questo misurati con il viaggio dell’eroe, dando due volti personali ma ovviamente non dissimili.
Storia di cavalieri, d’arme e d’amore
Molte volte abbiamo provato a dare una definizione di cosa sia il fantasy, senza mai trovarne una che soddisfi pienamente. Siamo nell’ambito del fantastico, forse stiamo parlando del sottogenere che più di ogni altro non si lascia racchiudere in gabbie rigide (la fantascienza, per esempio, presuppone inevitabilmente la componente scientifica, per quanto ampio possa essere interpretato il concetto). Si è parlato di genere che, attraverso l’astrazione dell’uomo dalla società moderna e la sua collocazione in un mondo inventato, sia capace di sondarne l’animo. Da qui, e forse proprio a partire dal Signore degli Anelli, il connubio del fantasy con la società medievale si è fatto sempre più indissolubile, proprio per depurare l’uomo della tecnologia e riportarlo a una sorta di principio. Ecco quindi che l’eroe fantasy per eccellenza diventa il cavaliere, che l’oggetto del desiderio è la principessa, che i valori sono rappresentati dalla forza, la saggezza, l’integrità e il coraggio; ed ecco quindi spuntare una certa “mentalità” anch’essa medievale, intrisa di religione, superstizione e destino, tutti elementi che conducono al concetto di magia.
Già, la magia, qualcosa di cui nessun fantasy può fare a meno per essere considerato tale. Anzi, non solo non può farne a meno, ma deve riservarle un ruolo centrale e determinante. Partiamo da qui: qual è il fulcro della saga di Star Wars? Lo studio della società galattica, dell’impero, dei ribelli e delle loro politiche? Le navi spaziali? O stiamo parlando invece del percorso all’interno dell’animo di un cavaliere verso la maturazione e la consapevolezza? Di magia? Nel mondo di Lucas i cavalieri sono Jedi, la magia di chiama Forza, ma nell’eterna lotta tra il Bene e il Male, la sostanza non cambia.
Una nuova speranza si apre con una principessa rapita e una richiesta di aiuto diretta a un cavaliere/mago. Quel tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana assomiglia così tanto al c’era una volta delle fiabe che il cerchio sembra chiudersi nel momento in cui il fantasy si può identificare con la concezione adulta della fiaba, tutto questo se decidiamo di affidarci all’autorevole definizione che ne dà un certo J.R.R. Tolkien nel suo famoso saggio Sulle fiabe.
Che la Forza sia… cosa?
È un concetto complesso, identificarlo con la magia è forse un modo per non approfondire più di tanto, giacché anche il concetto di magia è difficilmente definibile. Nella Forza sono racchiuse molte concezioni che attingono a diverse religioni orientali, a stati mentali, a buddismo e zen. Il maestro Yoda, su cui torneremo perché è probabilmente il più interessante personaggio fantasy della storia del cinema, parla di armonia della natura, di un equilibrio dell’energia con la materia. La Forza è tutto, è ovunque, è qualcosa cui attingere, che non si possiede ma si può capire e orientare. Quasi una nuova versione del concetto biblico del Dio onnipresente. In fondo attraverso l’identificazione Forza/natura si esprime il tema, tanto caro al fantasy, dell’eterna lotta tra natura e tecnologia, altra espressione di Bene e Male – e pare impossibile non pensare a Barbalbero e Saruman - dove qui il male è rappresentato proprio dalle navi spaziali e, nello specifico, dalla terribile Morte Nera, dimora e fonte di ciò che della Forza è il lato oscuro. Perché che non sia la potenza di fuoco delle macchine ma la Forza, la chiave di tutto, è più volte sottolineato nei film di Lucas. In modo diretto, quando Yoda stesso solleva la nave spaziale di Luke Skywalker, inabissata nella palude (L’impero colpisce ancora), o più sottile, quando la distruzione della stessa Morte Nera grazie al colpo preciso del caccia di Luke è in realtà il risultato della fede nell’istinto e non nel mezzo (Una nuova speranza).
L’aspetto che forse più di ogni altro accomuna la Forza e la magia che ben conosciamo da tutta la letteratura fantasy è la “tentazione”. Il Signore degli Anelli su questo concetto ha creato il gradissimo potere/fascino dell’Unico Anello, dimostrando cosa sia in grado di fare, nel bene e nel male, a Frodo, Bilbo, ma soprattutto a Sauron e a Gollum. Guerre Stellari non fa eccezione alla regola (sottolineata ancora una volta da Vogler) che vuole l’eroe sottoposto alla “prova” per assurgere al ruolo di puro. Di fronte alla tentazione del potere siamo in grado di conoscere a fondo la purezza dell’animo dell’eroe. Non a caso il protagonista della storia è sempre qualcuno di apparentemente estraneo a tale potere, qualcuno che ne ignora l’esistenza e le sue capacità di contaminare l’anima. E la dimensione di questo potere, che l’eroe imparerà a conoscere, è sempre data da due figure immancabili nello spettro degli archetipi: l’antagonista, che di tale potere è l’espressione malvagia, nonché succube; il mentore, che ne conosce e rappresenta il lato buono e sarà la saggia guida. L’eroe diventerà come uno dei due, a seconda se sceglierà la via più seducente e facile, e sarà il primo (come nel caso di Anakin Skywalker, vedi Episodio III: la vendetta dei Sith), o quella più nobile e difficile, e sarà il secondo (come nel caso del figlio Luke, vedi Episodio VI: il ritorno dello Jedi).
Di maghi, stregoni, druidi e… Jedi
Quella del mentore è la figura chiave del percorso verso la consapevolezza. È la guida, la saggezza, la lungimiranza. Nella letteratura fantasy si tratta sempre di un mago. È mentore Merlino per re Artù, lo è Gandalf per Frodo Baggins, lo è Allanon per tutti gli eredi di Shannara e lo è Obi Wan Kenobi per Luke Skywalker. Spesso è la figura più interessante, perché è quella che tiene i segreti, che non istruisce mai svelando ma portando l’allievo alla comprensione (effetto che accompagna anche il lettore/spettatore che dell’eroe assume il punto di vista).
Quella di Yoda è una figura particolarmente interessante, perché esaspera la componente spirituale del mago che diventa maestro di vita. Attraverso le lezioni di Yoda, Luke Skywalker impara a non fidarsi delle apparenze, a confrontarsi con se stesso, a conoscere la fede e a percorrere la via della saggezza. La sua funzione è paragonabile a quella di un monaco, grazie al suo pensiero di tendenza orientale. La fortuna del personaggio è data però da almeno due aspetti che rappresentano una novità: oltre alle perle di saggezza, frasi celebri che ormai ogni appassionato conosce a memoria, ci sono infatti l’aspetto buffo e il carattere scontroso. Il contrasto tra pupazzo/macchietta e potente mago (ed eccezionale combattente, come dimostreranno gli episodi II e III), è il grande punto di forza, tanto che di tutti i personaggi della saga, protagonista compreso, Yoda è senza dubbio quello che più di ogni altro rimane impresso nella memoria in modo indelebile.
Nonostante questo, in ogni storia fantasy che si rispetti, il protagonista non compie l’impresa solo grazie alla magia, bensì si dispone solo in una condizione d’animo che permetta alla magia di essere alleata e non nemica. L’impresa, infatti, presuppone soprattutto la prova di forza, che l’eroe darà affrontando il drago, penetrando fin dentro il ventre del mostro.
Trattiamo di acciaio
Nel percorso tracciato da Joseph Campbell, la fase dello scontro con il mostro, che avviene più o meno a metà del viaggio, rappresenta la fase in cui per la prima volta l’eroe si trova di fronte a un nemico più forte di lui. Simbolicamente la situazione è rappresentata dalla precipitazione negli inferi, in seguito alla quale l’eroe si trova nel corpo del mostro, e quindi senza via di scampo. A partire dal libro di Giona della Bibbia, in cui il profeta riesce a salvarsi dal ventre della balena, questa fase si ripete immancabilmente in ogni storia fantasy, spesso più volte. Frodo e Sam che penetrano a Mordor ne sono un esempio lampante, ma anche l’incursione a Moria lo è, per restare in tema di Signore degli Anelli. Eppure come non citare Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi, dove l’episodio del ventre della balena rappresenta il momento più cupo della crescita del burattino verso il bambino? Nel caso di Star Wars il ventre è quello d’acciaio della Morte Nera, quando l’inceneritore dei rifiuti minaccia la sorte di Luke e compagni. In realtà di episodi simili, che richiamano episodi biblici, tutta l’opera di Lucas è ricca. L’attinenza della saga al percorso mitologico tracciato da Campbell è attento e costante, e si manifesta con continui richiami simbolici. Un esempio è quello dell’ibernazione di Han Solo, della sua espressione imprigionata nel metallo, richiamo evidente al potere di trasformare gli uomini in statue di pietra di Medusa, o all’episodio di Sodoma e Gomorra relativo alla sorte della moglie di Lot, trasformata in sale per essersi voltata durante la fuga per vedere la città distrutta.
Eppure uno dei simboli più cari al fantasy, onnipresente come o più della magia, immancabile nelle gesta del cavaliere, è la spada. Un’arma che, in ambientazione fantascientifica, può risultare obsoleta e difficilmente ha speranza di trovare una collocazione non forzata. Eppure le spade laser dei cavalieri Jedi sono state una trovata estremamente brillante, tanto che, nella storia del cinema futuro a Star Wars, le citazioni si sono sprecate. In una storia con una struttura a base mitologica, in effetti, la presenza della spada non può non apparire perfettamente coerente e quanto mai opportuna.
I meriti della fantascienza
In conclusione è lecito chiedersi, ora che, con l’ultimo dei sei episodi in sala, il sipario si chiude, qual è stato il motivo del successo di Guerre Stellari. Se contestualizziamo il periodo in cui Lucas ha concepito l’idea, ci troviamo di fronte a una situazione americana particolare, in cui c’era bisogno di un guizzo. La crisi dovuta alla guerra del Vietnam, lo scandalo Watergate, la crisi petrolifera, l’abbandono dei progetti spaziali. Il cinema aveva bisogno di scrollarsi di dosso il pessimismo del momento, eppure di non retrocedere in un reazionismo. Nacquero le major come le conosciamo oggi, con i nuovi sistemi di indagini di mercato, di estremizzazione del lato commerciale del lavoro. Lucas ha avuto la genialità di raccontare una storia fantasy, approfondendo il viaggio dell’eroe verso la maturità e la consapevolezza, dandogli un’ambientazione nuova, fantascientifica. Un’idea rivoluzionaria, quella di riproporre il mito in chiave non solo moderna ma addirittura futuristica, talmente rivoluzionaria che accumulò una serie infinita di rifiuti, problemi, ostacoli, tanto che senza la caparbietà al limite della testardaggine che Lucas ha dimostrato di possedere, forse oggi le Guerre Stellari che hanno influenzato per trent’anni il nostro immaginario collettivo non esisterebbero. L’Hollywood che stava nascendo non era pronta a rischiare sulla fantasia sfrenata di un giovane regista, e così nacquero la Lucasfilm Limited, la Industrial Light & Magic e nacque il mito della Forza.
In definitiva la grande intuizione è stata quella di raccontare una storia vecchia come l’uomo, forte di studi approfonditi che ne assicuravano la solidità e la forza narrativa, e innovare nella veste con cui proporla. E nonostante le continue e infinite diatribe in cui si scontrano i sostenitori di fantascienza e fantasy, ci sentiamo di affermare che il segreto del successo di Star Wars è di aver saputo unire quello che molti ritengono incompatibile, riuscendo miracolosamente a fare della letteratura vecchia di migliaia di anni un cinema quanto mai originale.
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