Cave basilischium! Est lo reys dei serpenti, tant pleno del veleno che ne riluce tuto fuori!Il monaco Salvatore, dal Nome della Rosa, di Umberto Eco

L’origine del mito

Fascino e paura, una miscela di sensazioni che in natura è facile provare davanti a molte creature. Non ha senso cercare di stabilire quale sia l’animale che più ci terrorizza, ma, di sicuro, un posto di rilievo in un’ipotetica classifica lo occuperebbero i serpenti.

Lo strano modo di muoversi, unico fra i vertebrati, forza e fragilità, mistero e pericolo; e soprattutto gli occhi, quegli occhi alieni che fin dagli albori della civiltà hanno stimolato la fantasia dei nostri antenati.

Non per niente il Male nella Bibbia è personificato da un serpente. Non per niente i mostri più spaventosi di un po’ tutte le mitologie hanno qualcosa a che fare coi rettili striscianti.

La dea Uadjet per gli egizi, il Serpente di Midgard per i vichinghi e, il più conosciuto e terribile di tutti, il basilisco per greci e latini.

L’origine del mito del basilisco, dal greco basiliskos, il piccolo re, affonda le sue radici nella tradizione orale. Nel mondo dei serpenti, questo mostro leggendario è l’essere fantastico per eccellenza, e la sua esistenza è carica di significati simbolici.

È quasi immortale ed è il principe o il sovrano di tutti gli animali che strisciano.

Sulla testa può avere una o tre creste a forma di mitra, o un diadema bianco sulla fronte, tutti simboli di regalità.

Particolare della testa. Illustrazione di Chiara Codecà
Particolare della testa. Illustrazione di Chiara Codecà

Gli egizi lo chiamavano ureo, e lo raffiguravano con la coda nascosta sotto al corpo a rappresentazione dell’eternità.

Per naturalisti antichi come Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), che ne parla nel suo Naturalis Historia, il nostro sinuoso amico ha dimensioni piuttosto modeste, ma è pericolosissimo.

In Cirenaica, regione storica e geografica della moderna Libia, è facile incontrarlo: gli arbusti seccano al suo passaggio, i prati diventano deserti. Col soffio brucia le pietre.

Quando un cavaliere ne uccise uno con la lancia, un potente veleno salì dal cadavere del basilisco e uomo e cavallo ne furono annientati.

Plinio se lo immaginava che cammina strisciando solo la parte posteriore del corpo, con il busto retto, come i cobra.

Gli attribuiva, però, anche poteri taumaturgici e la capacità di aiutare a esaudire le preghiere per gli dèi.

Ma la mentalità marziale dei Romani imponeva che non potevano esserci nemici invincibili, e così anche il re dei serpenti aveva la sua nemesi: la donnola, il cui odore è mortale per il basilisco. E qui troviamo un’altra similitudine col cobra, che realmente, in natura, ha un antagonista tenace come la mangusta, molto simile alla donnola e così ben descritta nel Libro della Giungla di Rudyard Kipling.

L’arma più terribile del mitologico basilisco è lo sguardo, letale per l’uomo.

Questa particolare abilità è riconducibile alla sua origine: il mortifero serpente, infatti, nasce dal sangue della testa decapitata di Medusa, la Gorgone sconfitta dall’eroe Perseo.

Una leggenda racconta come Alessandro Magno, durante la sua spedizione in India, ordinò di montare sugli scudi dei suoi soldati degli specchi, proprio per evitare di essere attaccato dall’orrendo mostro.

Per un altro naturalista classico, Eliano il Sofista (170-235 d.C.), il tallone d’Achille per i formidabili poteri del basilisco sono i galli. Il viaggiare di Libia si porta sempre dietro un gallo, e quando il basilisco vede il pacifico animale da cortile, inizia a tremare. Il canto dei galli provoca nei basilischi dolorose convulsioni, e se siamo all’alba, la morte.

Questa interpretazione è in qualche modo legata a un’altra leggenda classica, molto diffusa, secondo cui il basilisco nasce da un uovo deposto da una gallina di sette anni e covato da un serpente o da un rospo, in una notte di plenilunio o sotto altre particolari condizioni atmosferiche e astrologiche.

Per maghi e divinatori, il sangue di basilisco, nero come la pece, aveva poteri mistici. Distillato, diventava più splendente del cinabro, ovvero il solfuro di mercurio, dal colore rosso vermiglio con riflessi adamantini.  

Il basilisco nel Medio Evo

Con l’avvento della Cristianità, del basilisco come di tutti gli altri animali mitologici, se ne parla nei bestiari.

Il famigerato serpentone, col tempo inizia a inglobare caratteristiche dei galli, tanto che viene rappresentato con corpo di serpente, testa di gallo e ali e zampe d’aquila. Diventa così simile a un altro animale fantastico, la cockatrice, che in molti casi è una sorta di secondo nome del nostro mostro. 

Il gallo, simbolo di collera e lascivia, usato nei sabba dalle streghe per aiutarle nel coito col Demonio, unito al  Male primigenio e all’inganno del serpente, fanno del basilisco un concentrato di malvagità. Fino a renderlo, a seconda del contesto, una vera e propria personificazione del Diavolo o del peccato.

Scrive Sant'Agostino: – Rex est serpentium basiliscus sicut diabolus est rex daemoniorum –  ovvero: – Il basilisco è il re dei serpenti, come il diavolo è il re dei demoni.

Fra i sette peccati capitali, il simbolo della lussuria è proprio il basilisco: da qui la comune opinione che la sifilide, che cominciò a flagellare la popolazione europea dalla fine del XV secolo, fosse attribuita al veleno di questo rettile il cui tema trionfa ancora su un capitello della prima colonna della navata sinistra della cattedrale di Bitonto. È il capitello della tentazione diabolica sul quale il basilisco è raffigurato in posizione di movimento, con le ali spiegate, la coda strisciante, la cresta alzata, lo sguardo fisso e il becco semiaperto, pronto a soffiare sulla preda il suo fiato mortale.

Le uova dal guscio soffice e senza tuorlo che a volte le galline producono alla fine del periodo di schiusa, si pensava venissero da un gallo fecondato da un serpente, erano considerate portatrici di sventure e a volte additate come uova di basilisco.

Nel tardo Medio Evo è una delle creature più temibili: ha la capacità di sputare fiamme o veleno, di uccidere col suono della voce o anche con un semplice tocco. 

Diventa così, per gli alchimisti medievali, la personificazione del fuoco distruttore, il potere in grado di plasmare i metalli e trasformare la materia. In alcuni casi è collegato alla Pietra Filosofale.

Rimangono le caratteristiche mortifere e lo sguardo che uccide, ma col tempo cambiano i metodi per combatterlo.

Meno diffusi i canti di gallo, più apprezzati per i significati simbolici uno specchio o una campana di vetro, da opporre agli occhi assassini proprio come fece Perseo con Medusa. Una sorta di simbologia del male che finisce per distruggere se stesso.

Un bell’esempio lo troviamo nella cattedrale di Vezelay, in Francia, dove in un rilievo si vede un cavaliere che  tiene davanti a sé una campana di vetro. Di fronte a lui, un basilisco. Curiosa la cavalcatura del soldato: un mostruoso insetto dal volto umano.