Il grande intrigo si presenta come il seguito del romanzo d'esordio di John Marco, Lo sciacallo di Nar, riproponendo l'ambientazione ed i personaggi che già avevamo incontrato. L'attenzione dello scrittore, però, non si focalizza solo nel raccontare gli avvenimenti successivi alla guerra tra l'Impero di Arkus e i Triin, ma trae spunto da essi per analizzare aspetti nuovi del mondo di Nar, aspetti che nel primo libro erano stati soltanto accennati. Di fatto, quindi, i due romanzi sono molto diversi fra loro: se, nello Sciacallo, il sentimento d'amore prevale sul desiderio di potere, tanto da potersi considerare il motore del romanzo, e Richius Vantran incarna, quale protagonista, questo sentimento, altrettanto non si può dire de Il grande intrigo. Innanzi tutto perché se c'è un sentimento comune a quasi tutti i personaggi questo è il desiderio di vendetta; in secondo luogo perché non c'è un vero e proprio protagonista. Certo, ritornano Richius Vantran, Dyana e Renato Biagio, ma nella struttura globale della narrazione la loro importanza è alla stessa stregua di quella degli altri: in linea di massima, Il grande intrigo dedica ogni capitolo a un personaggio, ne analizza i sentimenti e le motivazioni con cura ed attenzione, proprio come se tutti fossero indispensabili e nessuno necessario. Così il vero protagonista è l'intrigo stesso, che viene intrecciato dalle abili dita della vendetta, la quale è a sua volta alimentata dai singoli individui. L'amore, comunque, non viene di certo trascurato, anzi, è la fonte dei colpi di scena. Coloro i quali sono capaci di un gesto d'amore, pare dirci John Marco, hanno nelle proprie mani le sorti della vicenda, perché sono in grado di fermare e far riflettere anche i demoni o i pazzi. E chi non è investito da questo tocco magico, chi non riesce a sentirne la voce, è destinato a una fine certa: talvolta da eroe o da coraggioso, ma pur sempre fine. E' un libro dai sentimenti intensi, vivi, attento alla dimensione dell'animo umano. La trama è ricca e ben congegnata - anche se con un paio di piccole sviste; l'organizzazione della struttura è omogenea e ogni capitolo è un piccolo tassello di mosaico, compiuto in sé eppure insufficiente a mostrare il quadro globale. L'autore riesce, nelle sue pagine, a tessere una narrazione basata solo sulla vendetta, ne analizza i vari aspetti senza essere né noioso né ripetitivo.

Agli appassionati di fantasy sembrerà che la magia – quella classica – manchi, poiché ben poco si parla della razza dei Triin, che sono gli unici, nel mondo di Nar, a usarla. In compenso assume molta importanza l'aspetto tecnologico, che trova nell'Impero il suo massimo sostenitore. Ma anche se non si parla di incantesimi e affini, c'è pur sempre Dyana, che con la sua presenza e il suo amore infonde il magico dentro l'animo umano, e da sola è in grado di vincere la distruzione portata della tecnologia.

Per concludere, contrariamente a quanto il lettore potrebbe aspettarsi, non siamo alle prese con il classico seguito, ma con un'opera che è completa in sé. Il grande intrigo ha inoltre il grande pregio di cambiare la scena dell'azione rispetto allo Sciacallo, preparando nel contempo il terreno narrativo per il terzo e ultimo romanzo del ciclo, The Saints of the Sword.