In seguito al tradimento di uno dei maghi della Confraternita della Stella di Cristallo, le armate dei Signori delle Tenebre varcano i confini dell'ovest massacrando i cavalieri Ramas nel loro Monastero. Un solo uomo si sottrae alla strage: Lupo Solitario. Le sue avventure lo porteranno alla capitale del Sommerlund, Holmgard, dove verrà incaricato di recuperare la leggendaria Spada del Sole, l'arma in grado di distruggere i Signori delle Tenebre. Al fianco del giovane si schierano una fanciulla di nome Alyss e il giovane mago Banedon.
L'impatto iniziale di Le leggende di Lupo Solitario di Joe Denver e John Grant non è dei migliori: aprendo il libro troviamo una mappa in bianco e nero (neanche tradotta) troppo scura e decisamente illeggibile. Il vero problema, però, si presenta più avanti, nei contenuti. E' veramente un peccato vedere il mondo di Magnamund, che ci aveva affascinato nei librogame, raccontato così male. Ritroviamo i giak, i kraan, gli helghast, tutte le creature e i luoghi che gli appassionati della saga conoscono, ma questa è l'unica cosa che, all'inizio, desta un certo interesse.
Il romanzo (che raccoglie i primi tre libri della saga, lunga dodici) ha troppe pecche.
Cominciamo da storia e interpreti. Nello svolgersi del racconto ci sono molti combattimenti, scritti con crudezza e brutalità eccessive e inutili, sembra che debbano finire per forza con una testa mozzata o corpi tagliati a metà; ma questo sarebbe il minimo. Molte delle situazioni presentate si evolvono in maniera spesso incoerente e i personaggi, dai protagonisti alle comparse, mancano di credibilità. Descritti come inesperti e incapaci, li ritroviamo poche pagine dopo abili e pericolosi o, viceversa, presentati come potentissimi, fanno in seguito una figura da principianti. I dialoghi non migliorano la situazione, essendo troppe volte ridicoli e infantili. Perfino le divinità, fin troppo umanizzate, dibattono tra loro come ragazzini; inoltre sono troppo disposti ad aiutare i "comuni" mortali e il risultato è che i protagonisti perdono gran parte della loro centralità. Nei librogame, invece, i protagonisti eravamo noi, il nostro personaggio; insomma, bisognava contare sulle proprie forze.
Come in ogni storia fantasy è presente la magia; vediamo allora come quest'ultima viene interpretata nel romanzo. All'inizio della storia apprendiamo il concetto che usarla comporta dolore fisico. Va benissimo, anzi, probabilmente assisteremo a un utilizzo accorto e limitato di incantesimi. Invece no, nel resto del romanzo questo principio viene quasi dimenticato. Ad esempio Banedon, il mago "inesperto", è in grado di fare magie che farebbero impallidire Merlino. Viene da chiedersi cosa siano in grado di fare i maghi esperti...
La situazione, già critica, precipita quando incontriamo dei vocaboli veramente poco appropriati a un'ambientazione fantasy, come "cibernetico", "profilattici" e "touché", solo per citarne alcuni. L'ultima parte del libro è leggermente migliore, ma questo non basta a risollevare il giudizio. Decisamente preferibile recuperare i librogame, scritti meglio e più coinvolgenti...
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