È difficile parlare in poche righe di un romanzo come I lupi del Calla. Dopo ben dodici anni dall’ultima avventura del ka-tet di Roland, se soprassediamo all’intermedio mega-flashback La sfera del buio, ripescare nella memoria il pregresso non è certo facile, né dev’esserlo stato per l’autore rinfrescare le menti nei modi e nei tempi giusti senza arenarsi nel classico “riassunto delle puntate precedenti”.
Dopo un avvio ostico, colpa di un incipit lento e del peso psicologico di quasi novecento pagine da affrontare, si viene tuttavia trascinati in una storia che si legge tutta d’un fiato, scritta con mano felice da uno Stephen King dei tempi migliori, abile a costruire intrecci, a creare personaggi e a trascinarci soprattutto in un nuovo affascinante linguaggio cui ci si finisce piacevolmente per abituare.
Mi verrebbe da dire uno Stephen King benedetto dalla rosa, aye, dico grazie-sai. Se vi è gradito, uditemi molto bene, questa storia va molto oltre quello che la Torre Nera ha rappresentato finora, yer-culo! È la storia di un villaggio assediato dai Lupi e del suo fausto incontro con il tet di Roland, diciamo grazie a Dio e all’Uomo-Gesù. È la storia di come la paura viene sopraffatta e il pericolo di morire affrontato con coraggio da uomini e donne che non hanno dimenticato il volto dei loro padri. È una storia che tratta di piombo e di pistoleri, di battaglie lungo la via del vettore, di rose e di tredici nere, di porte magiche, vampiri e robot, di avidità, amicizia e tradimento; di alcolismo e, per Lady-Oriza!, di commala e del diciannove.
Per chi ha già letto il libro, le frasi sconclusionate scritte sopra faranno un po’ sorridere, per chi non l’ha ancora fatto rimarranno quelle che sono, cioè solo frasi sconclusionate, ma daranno un’idea di come parla la gente di Calla Bryn Sturgis, il villaggio nel quale si svolge tutta la vicenda. Per stessa ammissione dell’autore, questo è il più western tra gli episodi della saga, tanto che nella postfazione chiarisce che senza il cinema di Sergio Leone questo libro non avrebbe mai visto la luce, né lo avrebbe fatto senza I sette samurai di Kurosawa. La storia, tuttavia, come già King ci aveva abituati, non si limita a un solo genere, ma trae la sua forza in una commistione fantasiosa che fonde insieme la tecnologia con i cavalli e le pistole, i personaggi dei romanzi con quelli reali e soprattutto il nostro mondo con quello dell’ultimo cavaliere. Ci stiamo avvicinando alla fatidica Torre Nera, dove tutti i mondi si confondono e si uniscono in uno solo, e a dimostrazione di questo vediamo confluire nel romanzo gran parte del mondo immaginario che l’autore ha creato nel corso della sua carriera. A vederlo da un’altra angolatura, sembrerebbe quasi che la Torre Nera abbia contagiato quasi tutta la produzione di King. Tra le righe si trovano, più o meno celati, riferimenti a L’ombra dello scorpione, a Insomnia, a Cuori in Atlantide, a Il Talismano, a La casa nel buio, ma soprattutto a Le notti di Salem con il bellissimo personaggio di Padre Callahan che torna prepotentemente in gioco. Tutto questo comporta, almeno per chi è fan di King da tempo, una lettura sempre al massimo dell’attenzione, con la memoria continuamente stimolata a rivivere decine di storie in una. Tant’è che ci si dimentica, per una volta, di lamentarsi della solita logorrea. Ma non ditelo a Stephen King o il prossimo romanzo potrebbe essere lungo duemila pagine!
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