Erano immortali e vivevano come dei mentre il loro Impero stava morendo. Presuntuosi ed egoisti, gli Avatar dominavano con la magia e le scienze arcane un mondo decaduto.

Ma poi due lune comparvero nel cielo e un nemico terribile varcò la soglia fra i mondi. Le armate assetate di sangue della Regina di Cristallo sciamarono per la terra, portando devastazione e terrore e lasciandosi dietro una montagna di cadaveri da sacrificare.

Mentre le città stanno per affrontare la distruzione, tre eroi si preparano a sconfiggere il nemico: Talaban, un guerriero Avatar tormentato dal suo tragico passato, Mano-di-Roccia, il mistico uomo delle tribù in cerca del suo amore perduto e Anu, il Santo, l’Architetto del Tempo.

Quando tutto sembra perduto, altri due si uniscono a loro: Sofarita, la fanciulla di campagna che avrebbe dato vita a una leggenda e Viruk l’Avatar pazzo, destinato a diventare un Dio...

Questo è il primo libro che ho letto di David Gemmell che non faccia parte della Saga dei Drenai. Rispetto a quest’ultima, il cui primo libro risale al 1984, Eco del grande canto è molto più recente; è del 1997, cosa che probabilmente incide sul risultato finale.

Il libro è bello, senza ombra di dubbio, e anche se il “voto” che gli do è lo stesso di altri libri da me recensiti (come il primo di Goodkind, ad esempio), lo pongo comunque un po’ più in alto.

La trama è affascinante e Gemmell su questo è una garanzia. L’idea di fondo degli Avatar e del loro Impero in decadenza è molto azzeccata. I personaggi sono molto ben caratterizzati, come al solito molto umani nelle loro emozioni. Ottima anche l’idea della musica come mezzo magico, sebbene non originalissima e nonostante sia affrontata in maniera un po’ grossolana. Ottimo infine l’alternarsi della narrazione degli eventi alle scritture tratte dai miti, che esplicano come siano nati i miti stessi.

Alla fine, però, si sente la mancanza di qualcosa.

Mancano i personaggi a metà tra il bene ed il male, che Gemmell ci ha sempre regalato e insegnato ad amare, manca la consueta semplicità della concatenazione degli eventi e soprattutto manca il personaggio carismatico e vero protagonista. L’unico che potrebbe esserlo, Viruk, purtroppo si perde purtroppo in una caratterizzazione poco convincente e a volte ridicola, mitigata dal solo fatto che comunque è perenne preda della follia. Solo nel finale questo personaggio acquista lo spessore e il ruolo che gli competono, anche se per poche pagine.

Il libro è una buona lettura, ma sembra quasi che l’autore lo abbia scritto “a tempo perso”, partendo magari da una singola idea avuta chissà quando e poi accantonata. Alcuni personaggi sono chiaramente creati solo per esigenze di trama; di conseguenza quando “se ne vanno” lasciano un vuoto dietro di sé, perché creano nel lettore l’aspettativa di ulteriori sviluppi.

Anche la divisione (quasi) in caste della popolazione dell’ambientazione necessitava di maggiori spiegazioni e delineazioni, invece viene inserita nel romanzo come un dato di fatto.

La magia, che Gemmell solitamente tratta con parsimonia e maestria, tanto da renderla “reale”, qui risulta solo un escamotage per uscire da situazioni difficili. Lo stesso modo in cui i “nuovi venuti” fanno la loro comparsa nel mondo disegnato dall’autore lascia molto a desiderare. La cosmologia e la religione, poi, sono trattate a dir poco superficialmente, quasi fossero solo un riempitivo e non un aspetto fondamentale della storia.

Insomma, il libro è una lettura piacevole, ma l’autore stesso ci ha abituati a ben altre “prestazioni”. Si rimane delusi dalla superficialità di questo suo romanzo e sorge quasi il dubbio che il libro non lo abbia scritto lui.

Lo consiglio solo a chi voglia leggere tutto di Gemmell.