Quella de I Cavalieri dei Gabala è la leggenda più conosciuta al di là dell’oceano. Nove era il loro numero, come nove sono i ducati sulla cui sicurezza e pace hanno vegliato per anni e anni. Fino a quando non scomparvero al di là di una magica porta che metteva in collegamento fra loro i vari universi. Guidati da Smildanach i cavalieri sparirono per sempre da questo mondo. Solo uno di loro, Manannan, non trovò il coraggio di seguirli e tuttora calca la terra dei Gabala, perseguitato dal rimorso e dalla sua deprecabile fama. Perché per la gente, ormai, è il Cavaliere Codardo. Eppure solo lui può salvare la sua patria ora che le nubi di tempesta di una terribile guerra si stanno addensando e che la più insidiosa magia nera minaccia l’integrità e la sopravvivenza stessa dei Ducati. Perché c’è una sola speranza di sconfiggere le forze del male: penetrare nell’Altro Mondo e convincere gli otto cavalieri scomparsi a fare ritorno, per difendere ancora una volta i Gabala. E solo un uomo al mondo può riuscire in questa impresa disperata, quella che lo ha sempre precipitato nel terrore: Manannan, il Cavaliere Codardo.
Dopo Eco del Grande Canto, questo è il secondo libro di David Gemmell che leggo e che non faccia parte di nessuna delle sue saghe, dai Drenai alle Sipstrassi. In realtà l’autore fa rientrare questi suoi romanzi nella saga dei Drenai: li posiziona temporalmente molto indietro rispetto agli eventi dei nove romanzi dei Drenai... e il gioco è fatto.
Rispetto a “Eco del Grande Canto” questo è senza dubbio migliore; la trama risulta molto più coerente, senza la presenza di parti messe li solo per ‘esigenze di copione’; i personaggi sono ben caratterizzati e ricalcano gli archetipi ai quali Gemmell fa molto spesso riferimento (c’è l’eroe decaduto che trova la forza di risorgere, c’è il ladro e assassino che si redime, c’è il nobile e tiranno che alla fine combatte col contadino; insomma, c’è un po’ di tutto).
Che cosa manca allora a questo romanzo? A rischio di ripetermi, manca un po’ di tutto: i personaggi - dal Cavaliere decaduto, al mago - sono un po’ evanescenti. Non c’è un vero e proprio protagonista, ma nel senso peggiore del termine: sono tutti dei comprimari. La magia è usata come escamotage per far accadere cose che altrimenti sarebbe stato troppo complicato architettare. Molte parti della trama sono assolutamente prevedibili, come la natura dei Cavalieri Rossi, e l’Altro Mondo è descritto quanto meno superficialmente e “segue” numerosi stereotipi.
In questo romanzo Gemmel riutilizza la natura vampiresca di alcuni personaggi, come in “Eco del Grande Canto”, ed allo stesso modo riutilizza la tematica dell’immortalità ottenuta attraverso le anime altrui...
Il finale del libro è la parte peggiore: venti righe di numero, nominate come epilogo, che spiegano il destino dei vari personaggi con la schematicità di un telegramma; tra l’altro alcune cose citate in questo epilogo lasciano intendere che l’autore ha intenzione di scrivere un seguito a questo libro.
L’unica idea che ho trovato molto interessante è il personaggio del bardo, del quale non vi posso parlare per non rovinarvi la sorpresa.
Anche questo romanzo, quindi, sembra scaturire da una singola idea dell’autore, tenuta da parte e rielaborata arricchendola di tematiche un po’ obsolete; insomma, sembra anche questo un libro scritto da un’altra persona, rispetto al Gemmell dei Drenai.
Lo consiglio comunque, data la sua brevità si legge in fretta e nonostante tutto, alla fine, risulta una lettura piacevole.
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