Che cos’è un popolo senza memoria? Meno ancora dell’ombra di sé stesso. Ecco perché a Dharbek esistono gli Mnemonikos, cui è affidata la memorizzazione e tradizione orale della storia e dei miti. E Daviot non poteva che diventare uno di essi, dopo che la visione di un vascello volante dei cavalieri Kho’rabi - il braccio armato dgli stregoni di Ahn-feshang - aveva così colpito la sua fantasia che, di quell’incontro, aveva dimostrato di ricordare vividamente ogni attimo, ogni dettaglio.
Ma gli Mnemonikos viaggiano attraverso il paese, vedono mille cose e così Daviot scopre l’ingiustizia e la sopraffazione su cui si regge l’equilibrio del suo mondo: scopre i Mutati - animali antropomorfizzati fino alle soglie della condizione umana, ma utilizzati come schiavi - e comincia a dubitare perfino della santità del perenne conflitto con i Kho’rabi, che aveva dato sempre per scontato. Ma la via che porta alla pace è solitaria e dolorosa, tolto un pugno d’amici e una donna che lo ama: è la via di un rinnegato.
Troverà Daviot le risposte che cerca? Quello che è certo è che esse sono nell’estremo nord, dove si sono ritirati i Signori del Cielo, i Draghi, diventando leggenda nella terra di Dharbek.
Angus Wells è un prolifico autore statunitense, che si è reso noto in Italia con la Trilogia di Tezin-Dar (Editrice Nord) e con la Trilogia di Ashar (Armenia), tutte e due belle, ma non particolarmente memorabili.
Nel 1993 è uscito negli Stati Uniti questo suo I Signori del Cielo, che fortunatamente si discosta dai temi trattati nei precedenti libri; è un’opera voluminosa e piacevole.
Lo stile e la narrazione sono decisamente migliorati, più fluidi e accessibili; i capitoli tendono a rimanere molto lunghi, però, e a volte si fa fatica a finirli; i personaggi sono ben delineati, anche se un po’ stereotipati, e la narrazione in prima persona a volte risulta un po’ frustrante, dando alla lettura il perenne gusto del flashback.
La trama è davvero interessante. Il tipo di narrazione crea durante la lettura numerosi quesiti, che stimolano il lettore e che vengono svelati mano a mano che si va avanti. Non c’è un finale netto, perché gli eventi conclusivi avvengono per gradi, cosa che in questo libro è indispensabile.
Sia i personaggi che alcune situazioni sono a volte un po’ scontate, come se lo scrittore peccasse d’ingenuità, ma non ledono la validità del libro; il dilungarsi della narrazione su eventi secondari, tanto quanto sui principali, ha allungato il testo, a volte rendendolo un pelino tedioso; si ha l’impressione che Wells avrebbe potuto rendere giustizia alla storia altrettanto bene anche con duecento pagine di meno. Tuttavia, i punti più lenti si superano e si arriva facilmente al finale.
Buona l’idea della narrazione come se fossero le memorie del protagonista, una sorta di diario-testamento per i posteri, anche se non originalissima. Buona anche la resa del popolo Kho’Rabi, che ricorda da vicino i samurai del Giappone medievale.
Un’altra nota negativa è legata alla traduzione, che a volte zoppica vistosamente, lasciandoci interi paragrafi comprensibili solo con fatica e immaginazione.
È un libro che consiglio a chiunque non si faccia spaventare dal numero di pagine; non è qualcosa di epocale o particolarmente nuovo, ma lo si legge molto volentieri.
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