Due maghi appariranno in Inghilterra
Il primo mi temerà
Il secondo mi ammirerà senza riserve
Secoli fa, quando ancora esisteva la magia in Inghilterra, il più grande mago di tutti era il Re Corvo, un bambino cresciuto dalle fate. Ora all’inizio del XIX secolo lui è poco più di una leggenda e l’Inghilterra non crede più nell’uso pratico della magia.
E’ a questo punto che compare il misantropo Gilbert Norrell di Hurtfew Abbey e che si sparge la voce di un ritorno della magia in Inghilterra.
Convinto di dover aiutare il Governo nella guerra contro Napoleone, Mister Norrell va a Londra dove incontra un giovane e brillante mago, Jonathan Strange. Insieme i due entusiasmano il Paese con le loro magie, ma l’accordo si muta presto in rivalità.
Mister Norrell non ha mai rinunciato alla sua abitudine alla segretezza, mentre Jonathan Strange è costantemente attratto dagli aspetti più pericolosi della magia. Presto viene affascinato dall’oscura figura del Re Corvo e la sua incessante ricerca della magia più antica minaccia non solo la sua amicizia con Norrell, ma tutto quanto gli è caro.
Quando uno degli incantesimi di Norrell rivela un inaspettato effetto collaterale, stabilendo così un contatto con il mondo di Feeria e il suo re - una creatura con uno strano senso della moralità, una limitatissima comprensione dei desideri e dei bisogni umani e un codice morale assolutamente incompatibile con il nostro - il lettore si rende conto che la cosa può diventare veramente pericolosa.
Jonathan Strange & Mr. Norrell è quanto di più singolare, insolito e innovativo ci si potesse aspettare da un genere letterario che negli ultimi anni, pur notevole come produzione, non lo è stato quanto a originalità.
Piuttosto che inventare uno scenario immaginario per la sua storia, Susanna Clarke ha collocato il fantastico parallelamente al reale, non c’è bisogno di Hogwarts per diventare maghi, né di bacchette magiche. Quello che occorre – ma se ne può anche fare a meno - è un catino ricolmo di un qualsiasi liquido; uomini ed esseri fatati posseggono entrambi raziocinio e capacità magiche sebbene diversamente commisurate.
Partendo dalla descrizione di una scienza occulta, la Clarke descrive due gentiluomini inglesi che esercitano la loro arte all’interno del contesto culturale e storico del diciannovesimo secolo in Europa. La dimensione parallela si dipana progressivamente, svelando le sue interazioni con il mondo quotidiano.
La magia ha sempre avuto un ruolo importantissimo nella storia inglese. Lo stesso Giulio Cesare, dopo il suo sbarco in Britannia, ha incontrato il popolo di Feeria che, in cambio di un favore, gli ha permesso di realizzare il suo desiderio più grande: conquistare il mondo.
Dopo la scomparsa del suo più illustre praticante, il Re Corvo, la magia non fa più parte della vita quotidiana e le sole Associazioni Magiche esistenti sono di tipo teorico e storico.
La magia pratica, molto semplicemente, non fa parte del bagaglio culturale di un gentiluomo inglese perché “Magic is not respectable, sir”, ma la realtà è che nessun gentiluomo è più in grado di operare magie dal momento che il canale che univa il mondo degli uomini a Feeria si è interrotto. Dietro la mancanza di rispettabilità, però, si nasconde la reale assenza di capacità.
Per oltre 780 pagine il libro procede rapidamente, trascinando il lettore in una narrazione, sospesa tra descrizioni di sapore dickensiano e personaggi che non sfigurerebbero in un romanzo di Jane Austen, che non conosce un solo istante di caduta di tono o di interesse.
Qualcuno potrebbe definire quest’opera episodica e da un certo punto di vista lo è, ma ogni evento ha un suo preciso posto nel tessuto narrativo che lo riallaccia agli avvenimenti precedenti e costituisce la base per quelli successivi.
Questo viaggio nel mondo previttoriano è reso colto dall’uso deliberato e sapiente di parole arcaiche e da una quantità di note a piè pagina, anch’esse inventate di sana pianta. Alcune sono lunghe anche due o tre pagine e costituiscono una storia nella storia, con una trama capace di far impallidire alcune moderne trilogie.
Il punto di forza dell’intero romanzo, però, è la satira rivolta alla falsa erudizione, a coloro che sono erroneamente convinti di essere colti, all’uso politicizzato della magia e all’intera epoca romantica. La scrittrice sbeffeggia la tendenza inglese alla pomposità in maniera mai condiscendente, anche quando il personaggio lo meriterebbe.
I personaggi sono complessi, il cast è veramente ampio e vi si ritrova ogni tipo di personalità e di appartenenza sociale. Sia i “buoni” che i “cattivi” sono decritti con tutti i loro pregi e difetti.
Il tono del libro, ironicamente sospeso tra l’erudito e il mondano, è evidentissimo nella descrizione che Strange fa di Lord Byron: “Trovai sua signoria nella sua graziosa villa sulle rive del lago. Non era solo, con lui c’era un altro poeta chiamato Shelley, la Signora Shelley e un’altra giovane donna, quasi una ragazzina, che si faceva chiamare Signora Clairmont, la cui relazione con i due uomini non mi era chiara. Se voi doveste saperlo, non ditemelo. Era presente anche un giovane uomo piuttosto strano che ha detto stupidaggini per tutto il tempo, un certo Signor Polidori”.
E’ sperabile che la traduzione italiana riesca a rispettare, senza snaturarli, come è spesso avvenuto con altri autori di lingua inglese, gli artifici lessicali dell’autrice e rendere giustizia alle esilaranti situazioni comportamentali tipiche di un certo “british way of thinking” ben radicato nell’immaginario comune e piacevolmente demodée.
E’ ancora fresco il ricordo delle pessime traduzioni cui fu sottoposto, al suo apparire in Italia, il romanziere P. G. Wodehouse, in cui il maggior divertimento risiedeva proprio nel linguaggio edoardiano dei personaggi, che il traduttore fu incapace di rendere nella nostra lingua.
Per una volta fidatevi del battage pubblicitario: malgrado mole e struttura, Jonathan Strange e Mr. Norrell è un libro da leggere e non solo dagli amanti del genere.
Una nota di avvertimento: questo non è un romanzo per lettori impazienti, per quelli che a ogni pagina borbottano: “E muoviamoci…”. E’ un libro da assaporare lentamente, magari seduti davanti al fuoco in una fredda giornata invernale.
8 commenti
Aggiungi un commentoMi pareva di aver toppato in qualche modo... ops:
Da tempo un libro non mi prendeva come questo ha fatto con me! Penso che lo ricorderò per anni e anni a venire... Lo stile di scrittura mi è piaciuto moltissimo, elegante e sottile, molto inglese: anche ce l' ho letto in italiano, l' "inglesità" del tutto è uscita penso non troppo compromessa dal cambio di lingua.
(felice di rivederti, totoro )
Edit:
Spetta, questo che è? Perchè ne abbiamo due? Dove sto scrivendo? Sono almeno in un dove? E poi sicuri che sto scrivendo? Perchè, so scrivere? So fare qualcosa? Ma io, esisto?
Un universo parallelo...
Esisti, tranquilla, e per fortuna aggiungo io
Ah, ok, quindi, dato che non ho particolari attitudini nel creare universi, deduco che non è colpa mia, sono solo una vittima delle azioni dei demiurghi del forum...
(no, basta fare filosofia, vo a studiare tedesco... : )
Danke!
Glo glo glo gloooooo...
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