Atharra, città Principale dei Regni del Mare, l’arcipelago su cui si sono rifugiati gli abitanti di Atlantide quando l’Antica Terra è sprofondata tra i flutti, è da tempo scossa da terremoti sempre più forti. Le antiche profezie dei Sacerdoti della Luce avevano previsto l’inabissamento in mare anche della nuova patria degli Atlantidi, lasciando però la speranza di una rinascita della fiorente civiltà in un altro luogo della terra conosciuta. Tiriki e Micail, regina e re di Atharra e supremi sacerdoti del Tempio della Luce, durante uno degli ultimi grandi terremoti riescono con i loro straordinari poteri paranormali a impedire alla furia della natura di spazzare via anzitempo ciò che resta della perduta Atlantide. Il mattino seguente, durante l'evacuazione, Tiriki e Micail, sorpresi da una nuova scossa vengono divisi e alla testa di due differenti gruppi di fuggiaschi approdano, l’uno all’insaputa dell’altro, in Gran Bretagna (chiamata Isola dei Potenti). Dopo sei anni i due gruppi di esuli scoprono l’uno l’esistenza dell’altro. Il ricongiungimento non è idilliaco ma alla fine abitanti di Atlantide e nativi si trasformeranno in un unico popolo e, a poco a poco, la magia degli Adoratori della Luce inizierà a fondersi con l’antichissimo culto della Dea Madre, dando origine ad Avalon e alle sue leggende…
Scopriamo così, a oltre vent’anni di distanza dalla pubblicazione del libro capostipite di questa saga – Le Nebbie di Avalon – come le genti di Atlantide siano riuscite a sopravvivere alla distruzione della loro patria, risorgendo dalle proprie ceneri sul suolo Britannico. Eppure, da quel primo romanzo, qualcosa è cambiato.
In primis, ne l’Alba di Avalon, quinto volume del ciclo omonimo, assistiamo a uno storico passaggio di consegne: Diana L. Paxson, infatti, riceve il testimone da Marion Zimmer Bradley (scomparsa nel settembre 1999), e con questo il compito di portare a termine l’intero ciclo. L’impresa è ardua. Nel volume in questione la Paxson dà fondo a tutta la sua abilità di scrittrice per gestire un tema complesso, in precedenza solo accennato dalla Zimmer Bradley e mai trattato con tale ampiezza narrativa. Il romanzo, poi, si caratterizza non solo come nodo cruciale per questo ciclo ma, in generale, come chiave di volta per tutte le saghe della Zimmer Bradley: l’impresa si fa così doppiamente ardua. Un attento lettore potrà infatti, senza difficoltà, riconoscere elementi desunti dalla Saga di Darkover, da quella del Giglio, e ancora dalle Avventure nel Paranormale: tutto per dar vita a un grande affresco fantasy che abbraccia, nelle intenzioni della Zimmer Bradley, più millenni di storia. Fatto presente ciò, c’è da dire che resta ancora qualche piccola riserva sulle effettive capacità narrative della coautrice (ed erede di Avalon).
Per fare maggiore chiarezza su quanto detto, è necessario a questo punto addentrarsi in un’analisi approfondita del testo. L’Alba di Avalon ha il pregio di narrare le storie parallele di più personaggi, i quali sono sempre stati il punto di forza di questo storico ciclo narrativo. In questo quinto romanzo, dunque, non possiamo non notare che parte fondamentale della narrazione l’assumono Tiriki e Micail (personaggi già apparsi ne Le Luci di Atlantide della Zimmer Bradley). Sono queste due figure molto ben caratterizzate, indagate nella loro intimità con estremo impegno, e che certamente emergono dalla pagina per veridicità espressiva e sentimentale.
Il resto del “cast” non sembrerebbe invece dello stesso livello dei protagonisti e la Paxson mostra qualche pecca nella gestione coerente dei personaggi secondari e dell’ampio numero di storie parallele. E’ questa, tuttavia, una sensazione che non incrina la definitiva completezza stilistica del volume. Certo, lo stile narrativo, per forza di cose risulta più simile a quello di Diana L. Paxson che non a quello di Marion Zimmer Bradley ma, in ogni caso, l’Alba di Avalon si legge con estremo piacere e l’uso di una doppia trama in definitiva aiuta la scorrevolezza del testo.
Pare comunque evidente che condurre a buon fine un così ambizioso progetto non dev’essere stato semplice. Diana L. Paxson mostra, in alcuni casi, momenti di fiacca nell’intreccio narrativo (questi ultimi, però, abilmente camuffati da qualche ben studiato escamotage). Tuttavia, tranne qualche perdonabile scivolone, la storia si dipana senza eccessivi intoppi per ben 400 pagine, soddisfacendo le curiosità del lettore e regalando in diversi momenti brani estremamente piacevoli. Tra questi ultimi meritano una menzione speciale i rituali eseguiti dagli Adoratori della Luce, dove la Paxson emerge come una delle maggiori esperte di rune, cicli astrali e antiche culture in genere (la Paxson ha all’attivo numerosi saggi su questi argomenti).
Impeccabile la traduzione dall’inglese. Maria Cristina Pietri, storica traduttrice della Zimmer Bradley, affronta l’Alba di Avalon con esperienza ed estrema accuratezza: un innegabile punto di forza del romanzo.
In conclusione, l’Alba di Avalon è un libro piacevole, che si legge tutto d’un fiato e che i fans del ciclo non vorranno di certo perdersi. Diana L. Paxson ha passato l’esame con una sufficienza piena, ma una domanda può affacciarsi spontanea in chi legge: cosa sarebbe successo se a scrivere questo romanzo fosse stata solo Marion Zimmer Bradley?
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