I troiani ottengono la tanto desiderata pace con Sparta, e festeggiano l'avvenimento a palazzo di re Menelao. Ma il principe troiano Paride s'infatua della moglie Elena, la donna più bella del mondo (nella versione di Omero figlia di Zeus e di Leda), e la rapisce.

Agamennone, aizzato dal fratello Menelao, ha il pretesto per scatenare una guerra e radere al suolo la detestata Troia.

Le incomprensioni fra Agamennone e Achille, il campione greco, fanno sì che quest'ultimo si ritiri dalla battaglia.

Patroclo indossa le sue armi e guida sul campo i tenaci guerrieri mirmidoni. Ettore, pensando si tratti di Achille, lo affronta in duello e lo ferisce. Da questo capisce che non può trattarsi dell'invulnerabile Achille e, prima del colpo mortale, gli sfila l'elmo e riconosce Patroclo.

Achille, deciso a vendicare la morte del parente, ritorna in guerra solitario e sfida Ettore ai piedi delle mura di Troia. Nel duello fra i due eroi è Ettore a soccombere, e Achille fa scempio del cadavere del nemico trascinandolo con il suo carro fino all'accampamento greco.

Priamo riece a ottenere la restituzione dell'amato figlio e una tregua per poterne onorare degnamente la memoria. Al termine dei dodici giorni concessi, i troiani, al posto dell'accampamento nemico, trovano la scultura di un gigantesco cavallo di legno.

E' molto probabile che i veri motivi che spinsero gli achei ad attaccare Troia fossero legati a una questione di supremazia politica ed economica nella regione; Petersen preferisce avvicinarsi a questa versione e costruisce una personalità diversa da quella tramandata dall'Iliade per Agamennone, cancellando nel contempo l'influenza degli dei nella vicenda.

Questione di tradimenti: quello di Elena, moglie traditrice di Menelao stregata dagli occhi di Paride; quello, ben più grave, di Petersen ai danni di Omero.

La chiave sta nella scritta che scorre sulle schermo con i titoli di coda: ispirato all'Iliade di Omero.

Dietro alla parola 'ispirato' si nasconde un universo, che il regista decide di ricostruire a scapito della fedeltà al testo originale di Omero.

Quante licenze è possibile contare nel film di Petersen? Molte, e forse non ha senso enumerarle.

Ciò che salva "Iliade" dall'essere solo esibizione di una virtù guerresca, nel film è irrimediabilmente perso.

Inutili sono i tentativi di mostrare achei e troiani accomunati nella sofferenza della guerra. La drammaticità dell'azione, la tragedia del dolore, della separazione, dell'esilio, della morte sono solo sfiorate

L'esaltazione non solo di virtù eroiche, ma anche della pietà, della fedeltà, dell'amicizia sembrano incompiute.

I valori concentrati in grandi individualità (Achille, Ettore, Ulisse) stentano a uscire dai personaggi. Demerito degli attori o del regista?

Eric Bana è il più convincente, insieme a Peter O Toole, sempre grande ma un po' appannato; incolore la prestazione di Pitt, senza infamia né lode quella di Bean.

Stendiamo un velo su Diane Kruger. Ah, già, c'è anche Orlando Bloom, nel primo tonfo dopo i grandi successi di cassetta.

Pare che tutti gli attori, meglio, i protagonisti abbiano letto l'opera di Omero e tengano a farcelo sapere: i troiani hanno tutti la consapevolezza di un destino di morte e distruzione che li attende; Achille sa che per guadagnare l'immortalità dovrà morire.

I dialoghi sono di una sciatteria disarmante.

Le scene delle battaglie restituiscono un'immagine di efficienza ed essenzialità che si è persa nelle ultime, teatrali scene di massa.

La scenografia è grandiosa, a volte eccessiva. Certo, si rimane affascinati dalla maestosità delle mura di Troia, dalla magnificenza della città, ma non si può fare a meno di pensare che dietro queste ipertrofiche facciate vi sia il nulla.