Recensire questo film mi mette in una posizione imbarazzante: The Village non è un horror, almeno non nell’accezione che la maggioranza dà a questo termine, non è fantasy, men che meno fantascienza e oltretutto si corre il rischio di svelare tutto quello che c’è da svelare solo scrivendo una parola di troppo.
C’è l’orrore, quello dettato dal quotidiano, dall’oscurantismo, dall’estremismo e dall’alienazione; un sottile ma persistente senso di disagio che cresce nell’arco del film e può provocare nello spettatore, una volta svelato il meccanismo, le più disparate reazioni e considerando che alla rivelazione si può arrivare prima della fine del film, si potrebbe persino correre il rischio di trascorrere tutto il tempo, come mi è successo, nel frustrante tentativo di dare una giustificazione alle azioni degli abitanti del villaggio.
Le “creature innominabili” fanno apparizioni brevi e marginali ma la loro presenza incombe persistente e sottile e non ci si può dimenticare di loro.Un ottimo studio psicologico che dà adito a infinite discussioni, ma, ovviamente, una delusione per chi si aspetta un horror classico: si può affermare che la materia è degna di un Matheson dei tempi d’oro ma che, forse, lo scrittore avrebbe saputo dosare meglio gli elementi fino al finale che per i più smaliziati non è propriamente sorprendente né inatteso.
The Village scorre troppo lentamente – particolarità stilistica che accomuna molte delle opere di Shaymalan – estremamente ben costruito soprattutto nella seconda parte, ma la recitazione superiore alla media (soprattutto il felicemente redivivo William Hurt) riesce a mantenere elevato l’interesse alla vicenda nonostante l’assenza di veri e propri colpi di scena; non manca qualche buon brivido come, pure, non manca qualche buona risata liberatoria ma ciò che conta è l’atmosfera credibile per almeno due terzi del film.
Ottima la colonna sonora, sorprendentemente valido il doppiaggio in quanto il linguaggio parlato dai protagonisti costituisce una chiave di decrittazione, abilmente sottolineata anche nella versione italiana; abbondanti le citazioni – ho ritrovato The Creeping Flesh e Monster’s Club – e piacevole la visione.
Personalmente non ho sposato la tesi del film, che è agli antipodi rispetto il mio punto di vista filosofico, sociologico e politico, né ho provato simpatia nei confronti dei protagonisti e delle loro decisioni, a mio parere, dissennate, ma Shaymalan è stato abile nel sollevare sufficienti interrogativi da rendere interessante il contesto narrativo.
Un film di cui si continuerà e parlare.
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