Corre l’anno 1600, i Manchu hanno conquistato la Cina e stabilito la dinastia Ching. Per sedare qualsiasi tentativo di rivolta l’Imperatore emana un editto con il quale vieta la pratica delle arti marziali.
Vento di Fuoco, un ex ufficiale del passato governo, coglie al volo l’opportunità di arricchirsi facendo rispettare la messa al bando. Profondamente crudele e immorale, Vento di Fuoco mette a ferro e fuoco il nord-est della Cina e il suo ultimo obiettivo è quello di sconfiggere il villaggio delle Arti Marziali, ma Fu Qingzhu, che in passato è vissuto al soldo del vecchio regime, per redimersi dei suoi passati errori decide di mettere fine al gratuito spargimento di sangue.
Aiutato da due giovani del villaggio Fu Qingzhu si reca da un vecchio eremita maestro di spada, il quale gli affianca quattro tra i suoi migliori uomini e insieme intraprendono il loro coraggioso viaggio.
Se è abbastanza semplice accettare la proiezione di Seven swords alla rassegna veneziana in qualità di omaggio a un maestro del genere, risulta altresì quasi impossibile dare al film un giudizio di merito superiore a due asterischi, di cui uno è soltanto dettato dal rispetto per il cast al completo.
La pellicola, almeno a una prima visione, risulta slegata, confusa e concitata, il montaggio sembra frettoloso: forse l’edizione completa – si parla di 37 minuti di tagli nella versione occidentale – potrebbe rendere più chiari i frequenti e inesplicabili buchi narrativi, ma c’è anche il rischio che una durata maggiore renda il film definitivamente noioso.
Chi si aspetta la magia o il fascino iconografico di Hero o di La tigre e il dragone resterà deluso, così come chiunque si aspetti riferimenti a un film come I sette samurai: alcuni richiami potrebbero anche risultare, come nel finale, ma la morale è completamente rovesciata rispetto al lontano capolavoro di Kurosawa.
Qualcuno, soprattutto negli Stati Uniti, si è sbilanciato parlando di ripetuti omaggi all’espressionismo tedesco, di sapienti giochi di chiaroscuro, ma sinceramente tutto questo entusiasmo mi appare un po’ eccessivo.
La recitazione è sindacale quando non decisamente sopra le righe, le battute sono risibili e scontate, la storia è quasi totalmente illogica, l’antefatto è affidato a continui flashback rapidi, improvvisi e fuorvianti.
I personaggi risultano totalmente monodimensionali, non si intravede alcun gioco psicologico e, su sette guerrieri, soltanto a tre viene offerta una labile traccia che ne giustifichi le gesta
Detto che le battaglie sembrano echeggiare Sam Peckimpah in un momento di non felicissimo estro creativo (non escludendo il ricorso a uno splatter spesso fastidioso), restano i duelli coreografati in modo eccellente, ma siamo su un piano piuttosto ginnico che non fantastico.
Tsui Hark cerca di strizzare l’occhio al mercato occidentale in maniera tanto furbetta quanto sconclusionata: perfino la colonna sonora arieggia quelle composte da Ennio Morricone nel suo periodo western, con richiami, nel finale piuttosto sdolcinato, a certe inossidabili marcette dei fratelli De Angelis.
Sconcertante, almeno durante la proiezione cui ho assistito, la reazione del pubblico, che esprimeva il suo imbarazzo attraverso risatine sempre più insistite e crescenti fino a raggiungere proporzioni omeriche.
Non che Seven swords rappresenti un disastro completo, come film avventuroso vecchio stile (e come tale un po’ sgangherato e incredibile) può essere anche risultare godibile, ma è difficile spacciarlo come un capolavoro, anche se si è appassionati irriducibili del genere di cui Tsui Hark è indiscusso maestro e non merita comunque l’eccessivo spazio che gli si è voluto dare, nell’ambito della rassegna veneziana e fuori da esso; probabilmente tutto ha più senso se collochiamo la presentazione del film nell’ambito della rivalutazione delle produzioni di serie B, operazione “patrocinata” da Quentin Tarantino durante la scorsa edizione e comunque, a mio parere, piuttosto discutibile se spinta agli eccessi.
Considerando il prezzo del biglietto e la prossima uscita di molte pellicole che appaiono quanto se non più interessanti di Seven swords, conviene forse aspettare tranquillamente il passaggio televisivo o il noleggio.
Un ultimo appunto: il finale sembrerebbe suggerire l’eventuale prosecuzione della saga ed è mio parere che, se questa fosse realizzata e ottenesse esiti felici sul mercato, ciò implica che il cinema è soggetto a leggi misteriose che io non sono ancora in grado di spiegare e spiegarmi.
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