I Triadi del Take Away sembravano averla bevuta. La polacca aveva mangiato per quindici, lamentandosi di continuo per ogni cosa, dai tempi di attesa alla temperatura di fusione del nocciolo degli involtini primavera. Ma nonostante tutto i gialli sembravano non averlo cagato più di un cliente qualsiasi. Solo a pensare alle paste di Chimica Floyd si sentiva mancare la sedia sotto le chiappe. Che prole di madre ignota quelli dello Stato, ad assegnare la distribuzione di Chimica ai cinesi. Ancora pochi minuti e avrebbe chiesto il dessert. E poi tante, tante bumbe lo avrebbero reso un bambino tossico felice.
Il ristorante era ormai deserto. La polacca era andata in bagno da dieci minuti. Il silenzio era snervante, anche dalla cucina: forse i ristoranti cinesi avevano iniziato a usare i piatti biodegradabili. Ombre-drago dei tramezzi traforati si allungavano sulle pareti in formica verde, sembravano giocare a pallavolo con le ombre delle lanterne. Floyd chiamò il cameriere per il dessert. Lo fece nel gesto codice per ordinare con discrezione un notevole quantitativo di Chimica Blu.
Il cinese rise. - Subito, signor Floyd. - Afferrò una sciabola dalla parete.
Porca merla, m’ha sgamato, pensò Floyd.
Il tavolo tondo, sbarazzato, si divaricò con un sibilo. La polacca era immobilizzata al centro, con la testa rasata che emergeva da un foro largo come il collo. Da dietro un bancone sbucarono tre tizi cinesi in completo nero d'aute couture. In mano l’arma di ordinanza: Desert Eagle calibro 45 spaccaelefanti. Il più giovane dei tre, un figo dai capelli ingellati, gli si rivolse in un italiano abbastanza credibile. - Floyd Viaggi. Hai avuto la faccia di tornare qui dopo lo scherzetto che ci hai combinato. Stasera però sei nostro ospite. Di solito usiamo cervello di scimmia per gli ospiti più importanti. Ma tu sei un ospite d’eccezione, quindi meriti di più.
Un sibilo di luce segnalò la sciabolata del cameriere che scoperchiò la testa alla puttana, mettendo in mostra un qualcosa di grigioroseo fumante. Floyd fissava ammutolito gli occhi vacui della polacca, cercando di ignorare la parte mancante pochi centimetri sopra. Sperava che non fosse ancora viva, che i movimenti delle pupille e della bocca fossero solo contrazioni nervose post-mortem.
Il cinese dosò bene la frase da cattivo. - Anche i condannati a morte hanno diritto a un ultimo pasto. Buon appetito.
Si avvicina l’alba del tormento.
Tentativi di penetrare la zucca marcia di Floyd Viaggi,
come egli riesce a fare incazzare anche un fantasma.
L’uomo che Jun stava osservando dalla torre di attesa era una specie di larva smidollata, un disperato tossicomane che era andato a vivere nel capannone dove lei e la sua famiglia erano stati uccisi dalla Triade. L’indomani Jun sarebbe dovuta scendere verso uno dei Palazzi per la sua destinazione all’inferno. Si chiedeva dove fossero le anime dei suoi genitori. Due mesi prima aveva visto suo padre ribellarsi contro i criminali che volevano portarla via, destinata a qualche fabbrica di vestiti clandestina o peggio a qualche bordello. Era crollato al suolo come un pupazzo senza fili, con uno zampillo di sangue che sprizzava dalla gola. La madre si era arrotolata sul tappeto in mezzo alla polvere con un suono simile a quello di un foglio di carta strappato.
Erano passati quarantotto giorni dei quarantanove disponibili per il Periodo di Gratitudine. Come da tradizione Pao Chin Tien, il Guardiano del Quarto Palazzo, l’aveva accolta nel limbo costituito dalla torre di attesa, e le aveva spiegato che per i quarantanove giorni successivi i comportamenti dei posteri si sarebbero trasferiti come meriti o peccati nella sua anima, appesantendola o alleggerendola. Lei avrebbe potuto infestare per tutto il periodo quella che era la sua casa, ma non avrebbe potuto interagire con il mondo terreno. In ogni caso con chi avrebbe potuto interagire, se la sua casa era un capannone abbandonato e tutti i suoi parenti erano morti?
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