Un Vincente! Ne percepisco la presenza prima di vederlo; dev’essere in attesa del treno alla prossima stazione. Non credo che si sia accorto di me, non ancora almeno. E’ una fortuna. Riesco a valutarne la forza, tutt’altro che trascurabile, dalla sua aura. La mia è particolare: non è dissimile da quella di un uomo molto irrequieto e creativo, è solo più intensa. Non conosco i motivi di questa mia peculiarità; i miei vecchi compagni brillano come torce agli occhi dei Vincenti. Questi ultimi sono altrettanto luminosi, ma la loro emanazione è molto più armonica.Pochissime persone eccezionalmente sensibili, perlopiù donne, percepiscono l’aura che invece è una caratteristica di tutte le creature viventi.

E’ una Dominazione. Poteva andare peggio: i Podestà sono guerrieri fortissimi, gli Arcangeli praticamente imbattibili. Ma è meglio non sottovalutarla. E’ incarnata nel corpo di una ragazza alta e snella, vestita di uno spolverino nero. Lineamenti regolari, un po’ spigolosi; capelli biondi cortissimi. Tipo scandinavo. Sgrana gli occhi azzurri un istante prima di vedermi: sicuramente si chiede come ha fatto a non percepirmi prima. Il treno si ferma. Per un attimo ci guardiamo in faccia; solo il vetro del finestrino ci separa. Non posso che scappare. Modifico la densità molecolare del mio corpo e attraverso la parete posteriore della carrozza, sotto lo sguardo sbalordito di un’anziana viaggiatrice. Corro lungo la galleria di fianco al convoglio, a circa ottanta chilometri all’ora. La sento, vola alle mie spalle a una decina di metri di distanza. Devo sparire, nascondermi. Sono stanco di combattere: nel corso dei millenni durante i quali ho vissuto da uomo ho ucciso settantaquattro persone, quasi tutte in battaglia. Immagino che sia difficile da credere, ma non ho mai provato il minimo piacere nel sopprimere un essere vivente. Tranne una volta.

Istambul, 1915

Ad occidente gli stati europei stanno seppellendo la Belle Époque sul fondo di innumerevoli trincee fangose. La Turchia, alla quale evidentemente non basta il sangue versato nella carneficina continentale, vuole dare una lezione memorabile agli Armeni, una delle etnie più ribelli tra quelle presenti entro i suoi confini. Invia numerosi reggimenti, tra i quali il mio, a sistemare la questione una volta per tutte.

Oggi

L’angelo mi ha quasi raggiunto, ma se i miei calcoli non sono errati dovrei essere proprio sotto al posto giusto. Cambio ancora la mia densità molecolare e con un balzo mi lancio verso l’alto, attraverso la volta di roccia. Ascendo per una dozzina di metri prima di sbucare dal selciato di un vicolo dalle parti di Bergérie. Non c’è nessuno in giro, meglio così. Sotto la pioggia battente riprendo la mia corsa verso il luogo dove cercherò di nascondermi. La valchiria volante, dopo un attimo di smarrimento, ha ripreso l’inseguimento e ora mi è di nuovo alle calcagna. Ma adesso che siamo per strada non si azzarda a volare, mi corre dietro. E perde terreno.

Svolto un angolo e mi ritrovo di fronte all’insegna della Europenne. Sono quasi le sette di sera, dovrebbero esserci molti degli abituali avventori. Il locale è frequentato proprio dal genere di umanità che mi serve per mimetizzarmi. Scrittori, pittori, musicisti, ricercatori universitari, motociclisti, mogli infedeli. Proprio la gente che preferisco. La bionda non mi vede mentre entro, ma non tarderà a trovare l’ingresso del bistrot.

Armenia, 1915

La casa è una delle ultime all’estremità orientale del villaggio. L’unica porta è aperta e ne esce appena un gemito. La strada è ingombra di cadaveri: gli uomini sono stati sgozzati; le donne ripetutamente violentate, prima di essere passate a fil di spada. Scavalco numerosi corpi per raggiungere l’ingresso dell’abitazione. Sono curioso, voglio scoprire l’origine di quel lamento. Raggiungo l’uscio che si apre su un ambiente spoglio. Al centro, a gambe divaricate e con i calzoni abbassati fino alle ginocchia, sta un tenente del mio battaglione, un verme schifoso di nome Katerik. Si masturba di fronte a una bambina di sei o sette anni che, addossata al muro in fondo alla stanza, lo guarda con occhi sgranati. La piccola emette una sorta di gemito continuo.