Non mi piace chi approfitta dei deboli. Adoro la sfida; mi eccita la competizione. Ma non tollero la sopraffazione: è squallida, mediocre, stupida. E io detesto tutto ciò che trovo squallido, mediocre, stupido. Creo una bolla di stasi intorno alla bimba che rimane immobile, una sorta di fotografia vivente. Katerik, sbalordito ma non tanto da non accorgersi della mia presenza, si gira a guardarmi. Il suo pene si affloscia di fronte all’impassibilità della mia espressione. Poi gli sorrido, mi concentro e gli faccio esplodere gli intestini. Tre o quattro minuti di atroci sofferenze prima di morire mi sembrano il giusto compenso alla sua vigliaccheria. Mentre l’ufficiale agonizza sul pavimento di terra battuta mi avvicino alla bimba e la prendo in braccio. La porto fuori, al sole, e la faccio uscire dalla stasi. Non geme più, ma il tremito del suo corpicino è incontrollabile. Allora mi insinuo nei suoi pensieri e le trasmetto una sensazione di pace, mista a una blanda sonnolenza. Mi allontano dal villaggio portandola, addormentata, con me. Ho proprio voglia di disertare, l’Esercito Ottomano mi ha stufato. Credo che andrò a occidente: Parigi, nonostante la guerra, merita sempre una visita. Prima, però, mi recherò a trovare un amico, un medico francese che vive a Erevan. Lui e la moglie non hanno avuto i figli che desideravano tanto. Saranno felici di prendersi cura della bimba.

Oggi

Mi dirigo in bagno. Benissimo, non c’è nessuno. Entro con il mio solito aspetto mediterraneo, mi trasformo e esco sotto le spoglie di un corpulento giovanotto dai capelli rossi. Mi dirigo al banco per chiedere una birra. La Dominazione è in mezzo alla sala. Si guarda intorno con circospezione. Il suo sguardo attento si posa su tutti gli avventori. Anche su di me, ma non riesce a distinguermi dagli altri. Alcuni degli abituali clienti del locale mi sono familiari: Antoine Carpantier è un brillante chimico non ancora trentenne; Anna Toullier una poetessa di talento; Diop Manghor un pittore in ascesa; Valerie Toscani una peccatrice impenitente. Le loro aure sono luminosissime, altrettanto vivide rispetto alla mia. La valchiria cede allo sconforto. Rimane un buon quarto d’ora a squadrare i presenti, anche il sottoscritto che si gusta in pace una doppio malto. Poi, a capo chino, esce dal locale.

Ypres, 1917

Assisto allo scontro assieme ai miei compagni. Un intero battaglione di fanteria francese col naso per aria. Il cavaliere del cielo è solo contro sette, ma non si tira indietro di fronte a una sfida impari. Non prova nemmeno a scappare e punta dritto contro gli avversari. Nonostante la distanza, grazie alla mia vista sovrumana, posso distinguerne gli occhialoni dietro al disco iridescente dell’elica. Attende il momento propizio quindi apre il fuoco con una breve raffica. La squadriglia inglese si allarga a ventaglio e manovra per circondare l’agile Fokker. Ho l’onore di assistere all’ultima battaglia di un grande combattente. Quell’uomo riassume, esaltandole, tutte le migliori caratteristiche del vero cacciatore: acrobazia, mira, tattica, conoscenza della propria arma. Sembra che tutti gli assi si siano fusi per dare vita a un unico insuperabile aviatore. Evita a lungo le raffiche dei nemici; combatte con metodo, senza foga, e li colpisce tutti. Un aereo britannico deve atterrare per i danni riportati. Ma sette SE5, tutti insieme, possono sparare cinquemila pallottole al minuto. Troppe per chiunque, persino per Werner Voss.

Oggi

Ho perso il film, ma ho trascorso un pomeriggio diverso. Ogni tanto un po’ d’emozione non guasta. Pago la consumazione e esco dalla Europenne, incurante della pioggia battente che mi inzuppa gli abiti. Fuori non c’è nessuno e ciò mi consente di riassumere il mio aspetto consueto al quale, da tempo, mi sono affezionato. Con passo tranquillo mi dirigo verso casa. E’ piuttosto lontana, ma sono sempre stato un buon camminatore.