Non aveva mai visto niente di così estraneo all’ambiente che la circondava, e mai avrebbe potuto ripresentarsi ai suoi occhi una simile magnificenza.Rimase stupita e attonita, e piena di desolazione, mentre il corteo si allontanava. Poi, con una decisione improvvisa, che non si sarebbe potuta spiegare, senza chiedersi niente e senza capire il perché, uscì dal suo rifugio e li seguì, a distanza.

La piana della Inesistenza era un’enorme distesa desolata e paludosa che si estendeva per miglia e miglia a est dei Regni conosciuti di Alterria, incuneandosi attraverso le propaggini dei Monti Maledetti, fino a lambire le aspre e fredde colline di Krama e il regno scomparso di Ighneos, separandoli quasi completamente dalle vaste steppe di Safira.

Nelle giornate limpide, persino dalla roccaforte di Semionia, il centro stesso della Regola, era possibile scorgere le nebbie malsane e le cime grigie dei Monti Maledetti, come una spada minacciosa affondata perennemente nel cuore dei Regni.

Eppure, benché leggende e dicerie raccontate dal popolo sostenessero che la pianura del nulla guadagnasse impercettibilmente terreno, fino al momento in cui avrebbe inghiottito i Regni interi, in realtà i confini di quella desolazione da tempi immemorabili non erano mai cambiati, se di confini si poteva parlare. Non esisteva un punto preciso che dividesse la distesa nebbiosa e brulla dalle terre fertili, ma piuttosto si passava gradualmente dall’una all’altra, attraverso una striscia di terra disabitata e spoglia. Ad alimentare le leggende era l’avanzare o il retrocedere delle nubi grigiastre e malsane, a seconda dei venti che sfioravano i margini della piana desolata.

Era impossibile comprendere quanto fosse vasta Inesistenza, impossibile anche solo aggirarla: a nord, era lambita dal Mare Freddo, oltre le Terre dei liberi pescatori, a latitudini dove neppure quegli esperti naviganti osavano spingersi a causa di misteriose correnti sottomarine e terribili tempeste che non lasciavano scampo; a sud, sconfinava direttamente nel più torrido e inospitale deserto che si potesse immaginare.

Quanto all’attraversarla, era considerato letale per qualsiasi creatura umana, che sarebbe stata destinata a subire una sorte peggiore della morte. Infatti, fra quelle nebbie perenni, era nascosto un ignoto potere malefico: lo si respirava nell’aria, il terreno stesso ne era saturo. Quel veleno spaventoso, antico e inesauribile distruggeva la mente e i pensieri, deformava il fisico fino a trasformarlo in una larva, con tali modificazioni fisiche da non farlo sembrare più umano, con un corpo grigiastro e deforme che tuttavia recava ancora, orribilmente, una traccia del sesso a cui un tempo era appartenuto. Il viso diveniva senza lineamenti o espressione, bocca e narici semplici fori nella pelle, e gli occhi due cerchi biancastri e lattiginosi.

A malapena quegli esseri erano in grado di nutrirsi, dissetarsi con il poco che la pianura offriva, intrecciare foglie, paglia e cortecce per farsi rozzi abiti e copricapi, ripararsi dietro qualche roccia. Ma non avevano alcuna identità. Né vivi né morti, né uomini né spettri, si trascinavano in un limbo perenne, senza conoscere tregua o cambiamento, o il sollievo stesso della cessazione di tutto, della fine.

Perché questo era il segreto più orribile della trasformazione, il senso stesso di quel luogo di puro terrore che solo a nominarlo ossessionava e agghiacciava gli abitanti dei Regni: la forza malefica, antica e misteriosa che abitava e aveva plasmato Inesistenza si nutriva dell’essenza degli uomini, della loro energia e della loro coscienza, fino a trasformarli in quei pallidi simulacri. Forniva loro quel poco che bastava a mantenerli in vita, a soddisfare il loro residuo istinto di conservazione. Entravano a far parte della pianura stessa, erano elementi di quell’ambiente chiuso a ogni cambiamento, proprio come i cespugli e le rocce. Il processo che subivano faceva sì che il loro ciclo vitale si interrompesse, impedendo la naturale evoluzione verso vecchiaia e morte. Erano come sospesi fuori dal tempo, anzi, in assenza del tempo stesso.

Alcuni di loro erano dei poveri malcapitati che si erano incautamente avvicinati troppo al confine, per mai più ritornare, subendone il tremendo potere ipnotico: contadini o pastori sperduti, fuggitivi disperati, eserciti in rotta, aspiranti suicidi; ma per la maggior parte si diceva che fossero gli abitanti originari di quel luogo, prima che si trasformasse.