La spiegazione data dalla Regola era che la mortale terra contaminata fosse il risultato più nefasto delle antiche spaventose lotte per il potere combattute dai grandi maghi, prima dell’intervento e della vittoria finale di Anaba, fondatore della Regola e del dominio della ragione. E che proprio lui ne avesse arrestato l’avanzata, salvando i Regni dalla catastrofe.Ma altri la pensavano diversamente, e bisbigliavano in segreto fantasiose teorie, senza mai osare divulgarle apertamente, per il terrore di incorrere nel castigo della Regola. E comunque, Inesistenza rimaneva, immutata e immutabile, il simbolo di un orrore senza eguali, e quasi del tutto inviolabile.

Re Aarno si abbandonò all’indietro sul suo trono, con espressione perplessa e vagamente incuriosita. Con un cenno infastidito del capo, cacciò via il servo che continuava premurosamente ad assestargli le fasciature delle braccia e le ricoprì con le ampie maniche della sua tunica di velluto, prima di incrociarle sul petto.

– È stata una spedizione fortunata, Mio Sire – commentò Emiana, che stava accanto a lui.

– Non saprei. Questo incidente mi rovina tutto.

– Oh, non badategli, Sire. - Emiana arricciò lievemente il nasino in una aggraziata smorfia di disgusto. – Fate... sopprimere quest’essere. Non merita che sprechiate il vostro tempo.

Emiana era l’amante ufficiale del re. Non poteva sposarlo per via di impedimenti dinastici, e non le era consentito di dargli figli. Eppure, il re continuava a tenersela al fianco, rinunciando a ogni degno matrimonio che gli veniva proposto, e negando al regno un erede.

La voce popolare indicava in lei una strega dell’ovest: sostenevano che teneva legato a sé il re con le sue arti. Eppure, non avrebbe avuto bisogno di inganni e magie per affascinare gli uomini: era alta, sinuosa, sottile come un giunco. Aveva una voce dolce e profonda, e il passare del tempo sembrava scorrerle addosso, senza lasciare traccia. Nessuno avrebbe potuto darle un’età, ma l’aspetto era quello di una fanciulla appena sbocciata. I suoi lunghi capelli neri, sempre sciolti sulle spalle, fermati da preziosi diademi, incorniciavano un viso piccolo di un prezioso pallore d’alabastro, dai lineamenti delicati. Forse il suo naso era lievemente adunco, e le labbra troppo sottili, ma nessuno sarebbe arrivato a notarlo, senza essersi prima perso nell’azzurro ghiaccio dei suoi occhi allungati.

Ma soprattutto non era una donna frivola o vacua: il re teneva in gran conto i suoi consigli, anche se a corte molti avrebbero preferito che non lo facesse, e più d’uno avrebbe voluto allontanare da lui quella troppo ingombrante presenza.

– Potrebbe essere opera di un mio nemico – stava ragionando il re, – prima di sopprimerla, come tu suggerisci, dovrei almeno scoprire chi l’ha mandata e perché.

– Non c’è modo di saperlo. Questi... – Emiana ebbe ancora una smorfia e un lieve tremito di ribrezzo, quando i suoi occhi incontrarono l’essere che stava di fronte a loro –... questi Incappucciati comprendono appena ciò che diciamo loro, e non reagiscono neppure al dolore. Non ne caverete nulla. Eliminarla subito è la soluzione migliore.

– Sembra che tu provi terrore, per queste creature.

Emiana spalancò gli occhi, indignata.

– Ma che dite? Terrore? È solo che... mi ripugnano. Come a qualsiasi essere umano ragionevole.

– Non hai mai voluto seguirmi nella caccia.

– Vi pare che io sia donna da portare alla caccia?

Si alzò in piedi con femminile indignazione, e il re sorrise, osservando il suo luccicante abito azzurro, le mani sottili, dalle unghie lunghe e curate, i piedi fasciati in scarpine dorate.

– No – ammise Aarno. – Non sembri adatta per la caccia. Non per il tipo di caccia che intendo io, almeno.

Contenta di averlo fatto sorridere, Emiana tornò a sedersi, e ribadì, con fervore: – E allora, smettetela di guastarvi l’umore per questa sciocchezza.

Stava per dare l’ordine ai soldati, quando, proprio in quell’istante, entrò un uomo già avanti negli anni, alto e vestito di scuro. Solo un impercettibile lampo degli occhi chiari tradì il disappunto di Emiana per quell’arrivo.

– Entra, Arenio – lo accolse il re. – Siediti. Desidero un tuo parere su un fatto piuttosto strano che si è verificato oggi, dopo la caccia.

Il “fatto piuttosto strano” era rimasto per tutto quel tempo inginocchiato in terra fra due soldati: un fagotto scuro e polveroso, immobile come una statua.