Se in Italia chiedessero il nome di un gioco di ruolo per console, la maggioranza risponderebbe Final Fantasy. Se la stessa domanda andassero a farla in Giappone, la risposta non sarebbe però così scontata. È semplice legge dei numeri. In Sol Levante Final Fantasy XII, l’ultimo episodio della storica saga Squaresoft, in una settimana ha piazzato poco meno di 2 milioni di copie. Nello stesso lasso di tempo Dragon Quest VIII, il cucciolone Enix, ne ha volatilizzate quasi 4 milioni, conquistando il trono di titolo PlayStation 2 venduto più velocemente di sempre. Niente di sorprendente. Dragon Quest VIII era da mesi in cima alla classifica dei videogame più attesi dal pubblico giapponese. Il primo Dragon Quest completamente tridimensionale. Il primo Dragon Quest prodotto dalla fusione Square Enix. L’ottavo capitolo – indipendente - del primo gioco di ruolo per console. É infatti con Dragon Quest che, nel 1986, in Giappone, sono nati i giochi di ruolo per console, traendo ispirazione da quelli occidentali per PC, come Ultima e Wizardry. Circostanze che, insieme alla notorietà di Akira Toriyama, responsabile dello stile dei personaggi e autore del manga culto Dragon Ball, hanno permesso al videogame di sbarcare per la prima volta in Europa e in Italia, con Halifax e il titolo Dragon Quest: L’odissea del Re maledetto.
Toriyama, oltre ai successi televisivi e su carta di Dragon Ball e Dr. Slump, ha una lunga carriera come disegnatore di videogiochi. Il suo nome si ricollega a Tobal No. 1 (bizzarro picchiaduro per PlayStation), a Chrono Trigger (per Snes, da molti considerato il miglior gioco di ruolo nipponico di sempre) e soprattutto alla saga Dragon Quest, per la quale si è occupato della direzione artistica fin dagli esordi. Con lui Yuji Horii, sceneggiatore, programmatore e ideatore della serie, e Koichi Sugiyama, compositore, quasi a formare uno storico triumvirato che compare naturalmente anche alla guida di Dragon Quest: L’odissea del Re maledetto. Il cui sviluppo è stato affidato a Level 5, conosciuti per Dark Cloud e Dark Chronicle, simili al titolo Square Enix per l’utilizzo del cel shading, una tecnica grafica che dona al gioco l’aspetto di un cartone animato.
E proprio dai fumetti o dai cartoni animati Dragon Quest sembra ereditare anche lo spirito spensierato e l’ironia che permeano l’intera avventura. Può apparire molto convenzionale, e in un certo senso lo è, ma più che il soggetto della fiaba a stupire sono la ricchezza e il gusto del racconto. Dialoghi, situazioni e l’attenzione posta nel ricreare un complesso mondo fantasy, coerente nella sua incredibilità e pieno di suppellettili indispensabili per l’incanto del viaggio, accompagnano con un’infinità di luoghi e personaggi alla scoperta dei segreti di un paese delle meraviglie bislacche, da apprendere in decine quando non centinaia di ore. In una cinquantina è possibile arrivare ai titoli di coda, tuttavia cento non bastano per completare il gioco.
La trama principale di Dragon Quest è costruita attorno alla ricerca del meschino Dhoulmagus, colpevole di un maleficio che ha tramutato re Trode in un goffo rospo parlante, la principessa Medea in un cavallo e i cortigiani in vegetali. L’unico immune al sortilegio si dimostra essere l’eroe impersonato dal giocatore, che assieme ai due reali e a un robusto scudiero – ai quali si aggiungeranno altri compagni nel corso dell’avventura – inizia l’odissea del sottotitolo, sintesi del giapponese “il cielo, il mare, la terra e la principessa maledetta”. Tolte le maschere, Dragon Quest: L’odissea del Re maledetto ha infatti come tematica di fondo la peregrinazione. Il lungo viaggio, anzi i lunghi viaggi consentiti da una mappa di gioco completamente tridimensionale e liberamente esplorabile, colma di tesori, vicende, sotterranei, cittadine, castelli che non aspettano altro che un avventuriero disposto a scovarli.
Non è tanto importante la meta, quanto il percorso. Costellato, come più o meno ogni gioco di ruolo nipponico dal 1986 a questa parte, da una valanga di incontri casuali. Ossia, senza che si possa prevederlo, il vagabondare viene spesso interrotto da estenuanti, ostiche battaglie con le più strambe creature, secondo la logica a turni tipica del genere. Esistono modi per evitare il confronto, ma l’accumulo di punti esperienza e monete come brave formichine, combattimento dopo combattimento, è una delle caratteristiche su cui insiste Dragon Quest. Che recupera e fissa paradigmatico i canoni aulici del gioco di ruolo giapponese in quella che, a oggi, è probabilmente la loro migliore stesura. In cui gli appassionati troveranno molto di ciò che, in sostanza, lamentano di non trovare negli ultimi Final Fantasy. A patto di abbracciare lo stile scanzonato dell’odissea di una fantasiosa armata Brancaleone, che comunque, anche in Europa, è già riuscita a conquistare – sono annunci di questi giorni – più di 600mila fan.
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