Sensazione di déjà vu? Allora sarà bene ricordare che il racconto da cui è stata tratta la sceneggiatura (Five Children and It) è stato scritto da Edith Nesbit nel 1902, quasi cinquant’anni prima del Leone, la strega e l’armadio, del 1950; e il film è uscito nel 2004, un anno prima della quindi della versione cinematografica dell’opera di Lewis.
Anche qui, come nel più costoso e redditizio film fantasy, cinque ragazzi vengono allontanati da Londra per sfuggire ai pericoli della prima guerra mondiale. Destinazione la vittoriana e decadente dimora del bizzarro zio Albert.
Robert, interpretato da Freddie Highmore (Charlie e la fabbrica di cioccolato, Finding Neverland) somiglia fisicamente a Skandar Keynes, che nel Leone, la strega e l’armadio è Edmund, il più indisciplinato dei fratelli Pevensie. Non solo fisicamente, visto che infrange la più sacra delle mille regole che il bizzarro zio Albert (un Kenneth Branagh sopra le righe) ha imposto ai cinque bambini: mai entrare nella la serra.
E’ lì, ovviamente, che i bambini trovano una porticina chiusa a chiave, che solo il più piccolo fra loro riesce ad aprire.
Il passaggio che i cinque imboccano li conduce a una misteriosa spiaggia, dove il tempo è diverso da come lo hanno lasciato nella vecchia casa e le bussole impazziscono.
Da quello che sembra il guscio di una tartaruga, dal quale provengono rumori e borbottii e sospiri, se ne esce Psammead, un elfo del ceppo dei desideriosauri, che i bambini ribattezzano Adelfo. La creatura dalla fisionomia trichechesca è in grado di esaudire un desiderio al giorno, che durerà fino a che il giorno non finisce, ma i novelli stregoni al primo desiderio fanno la fine di Topolino nell’apprendista stregone, e la magica ramazza finirà per combinare un sacco di guai.
“Non dipende da me: uno esprime un desiderio, succede un disastro e così impara qualcosa d’importante”, questa è la filosofia dell’elfo.
Per fortuna c’è la comprensiva e misteriosa governante Marta ad aiutare i ragazzi a sistemare le cose. Mentre il detestabile cugino Horace fa di tutto per mettere i bastoni fra le ruote dei cinque e spedirli in prigione.
A Cyril il maggiore dei fratelli, è affidato il ruolo di sostituto del padre, in missione aerea.
Jane, con le sue lezioni di violino, fa accapponare la pelle di chiunque l’ascolti, ma è in grado allo stesso tempo di tenere a bada un tirannosauro, magica incantatrice d’animali; Anthea di nascosto ha infilato un romanzo nel bagaglio del padre: il pilota picchiatello in picchiata.
A parte il ruolo di Robert, che insiste senza troppo convincere nella parte del piccolo ribelle, solo la figura di Cyril riesce a stagliarsi dal fondale bidimensionale prepararto per questo film.
Una favola, dopotutto; una modesta rivisitazione del genio della lampada, con l'inevitabile percorso di crescita del protagonista (Robert).
Girato nell'isola di Man, il film si avvale di effetti speciali che strappano a malapena la sufficienza. Il protagonista digitale, l’elfo Psammead, risulta spesso antipatico.
John Stephenson non ha grande esperienza come regista, e nonostante i trascorsi di tecnico degli effetti specializzato nel campo del modellini (per la Jim Henson Creature Workshop) siano serviti al caso, non basta a risolvere alcune incertezze; la mancanza di polso che consente agli attori più consumati di gigioneggiare.
2 commenti
Aggiungi un commentoDunque, vediamo un po'... Estate, riciclaggi, Linneo applicato al cinema, adulti che gigioneggiano, una guerra mondiale in corso, un eccentrico zio Albert ( è un omonimo di quello che appare in Mary Poppins? E' lo stesso? E' un nome tradizionale in Inghilterra per gli zii un po' fuori di testa?), bambini insopportabili, desideri che non si avverano come dovrebbero... ci sono per caso anche una partita a calcio tra animali sull'isola di Nabumboo e un balletto a Portobello Road?
Eh, sì, una bella insalatona di verdura mista. Poco consolante ripetersi che in effetti molte di queste cose sono state inventate (o reinventate) dall'autrice del libro, è comunque roba già vista.
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