Di videogame di Dragon Ball è pieno il mondo e continuerà a esserlo, fintanto che l’opera di Akira Toriyama non affievolirà il suo successo, peraltro ben lontano dal viale del tramonto, se si considera la scala globale. Che si tratti di fumetti, serie tv o appunto videogiochi, il nome Dragon Ball è garanzia, li si venda come il pane, secondo una legge multimediale che i giapponesi hanno saputo decifrare più volte a favore delle loro proprietà intellettuali più importanti. Di tutti i videogame di Dragon Ball fino a oggi pubblicati, Super Dragon Ball Z è però un caso molto particolare. Il genere è quello più ovvio, il picchiaduro, traduzione interattiva dei combattimenti di arti marziali, ambito già esplorato dai vari Dragon Ball Z: Budokai. La novità di Super Dragon Ball Z è che, come capita raramente per i videogiochi, si è preferito ripartire da zero, chiamando un vero vip per riformare il simulatore di Super Sayan, prima in sala giochi e ora su PlayStation 2. L’editore Bandai Namco si è rivolto alla palestra Craft & Meister, giovane software house fondata e diretta dal guru Noritaka Funamizu, tra le personalità che – all’epoca della militanza in Capcom – ridefinirono il genere dei picchiaduro bidimensionali con la serie Street Fighter (Street fighter III: 3rd Strike, di cui Funamizu era produttore, è ancora oggi considerato capolavoro insuperato del beat’m up 2D).
Lavorando in perfetta sintonia col pensiero orientale, Craft & Meister ha spogliato Super Dragon Ball Z di molte delle contaminazioni che
Ma è soprattutto l’equilibrio delle forze in campo l’elemento inedito esplorato da Super
Parallelamente a Super Dragon Ball Z, in queste settimane è arrivato – sempre Bandai Namco con Atari - nel Vecchio Continente
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