30 settembre 2004, al largo delle Ogasawara Islands, nel Pacifico settentrionale. Tsunemi Kubodera, del Museo Nazionale della Scienza giapponese, e Kyoichi Mori, da tempo membro attivo di un gruppo per l’osservazione delle balene, fissano con occhi stanchi la strumentazione di bordo.
I due giapponesi, piazzati vicino alle cosiddette Galapagos d’Oriente, sono come al solito attenti all’osservazione delle acque nell’attesa del passaggio di un qualche esemplare marino eccezionale. Nemmeno loro saprebbero dire cosa diamine gli passa per la testa, quando nei monitor vedono un’ombra lunga quanto un sottomarino passare nell’acqua trasparente, un chilometro sotto la barca. Ma non é un sottomarino, è qualcosa di più inquietante, di vivo; e si sta avvicinando.
L’ombra sale sempre di più, verso lo scafo. I due studiosi non sanno se preoccuparsi o fremere d’eccitazione. Ma qualunque cosa sia, è ancora lontana, c’è tempo per pensare. Un attimo dopo un tentacolo spunta dall’acqua e si lega alla barca, che vacilla pericolosamente. Il tempo di sistemare qualche dettaglio tecnico e sopra lo schermo ultrapiatto della macchina per le fotografie di profondità appare l’occhio enorme di un calamaro.
Spaventi a parte, vengono scattate 500 fotografie, prontamente inviate alla Royal Society di Londra.
Il mostro lotterà per ben cinque ore prima di essere liberato, e perderà un tentacolo.
Un vero mostro
Kubodera e Mori sono stati i primi a fotografare un calamaro gigante vivo, a quasi 900 metri di profondità, nelle acque del Pacifico settentrionale. Pare che il mostro, una volta agganciato dall’esca, abbia tentato di liberarsene con la coppia di lunghissimi tentacoli che caratterizza la sua specie (oltre agli otto più corti), fino a riuscire ad arrivare alla barca. Già si sapeva che i tentacoli dei calamari giganti possono arrivare a raggiungere i due terzi della lunghezza totale dell’animale, che arriva a misurare qualcosa come 18 metri, per alcuni studiosi, mentre altri si sbilanciano fino a parlare di 26 metri.
Nel corso della storia, l’uomo dev’essere entrato in contatto con questi animali parecchie volte, ma mai prima erano state raccolte prove di un animale vivo. Tutto ciò che sapevamo arrivava da resti piaggiati spesso incompleti o da esemplari pesantemente mutilati rimasti impigliati nei peschereggi d’altura.
Sono rimasti un po’ tutti sorpresi nello scoprire che questa specie, l’Architeuthis, possa essere così aggressiva, specie vicino al pelo delle acque.
Circa un anno dopo l’incredibile scoop naturalistico viene pubblicato sulla prestigiosa rivista inglese Proceedings of the Royal Society, dove il nostro tentacolato amico si guadagna il titolo di grande predatore delle profondità oceaniche.
Niente di strano, visto che stiamo parlando di esemplari che possono arrivare a pesare fino a otto tonnellate, con tentacoli che portano ventose più larghe di mezzo metro, corredate da un bordo di aculei chitinosi molto taglienti.
I calamari giganti sono sia prede che predatori dei capodogli. I cuccioli del grosso cetaceo sono ovviamente preda ambita per i tentacoli del nostro protagonista; se il piccolo sopravvive le cicatrici circolari lasciate dalle ventose col tempo cresceranno con lui, ed ecco spiegato l’errore di Pontoppidan nel calcolo della lunghezza del mostro.
A tutto questo va aggiunto che la parte inferiore dello scafo delle antiche caravelle, ma il ragionamento può esser esteso a tutti i velieri, assomiglia molto al ventre dei capodogli. E i due tentacoli lunghi, che nella parte finale si aprono come la testa di un cobra, certo possono essere scambiati per un qualche genere di serpente marino. Non è difficile immaginare come nel corso della storia le leggende sul tentacolato mostro marino, chiamato col nome di Kraken, siano cresciute a dismisura. Ancora oggi nella lingua tedesca si usa il termine Krake (Kraken è il plurale) per la denominare il calamaro gigante.
Infatti, nella mitologia norreana (quella dei Vichinghi dove Odino è padre degli dèi nella dorata Asgard, al di là del Ponte d’Arcobaleno) il mostro compare spesso, ma senza esser mai definito con un nome specifico. Sta di fatto che pare debba riemergere in superficie alla fine del mondo, proprio come il serpente Miðgarðsormr.
Il Kraken compare nella cultura popolare di tutte le genti di mare del nord Europa; l’aspetto e le dimensioni sono più o meno sempre le stesse: un calamaro o un polipo gigante, lungo cento o duecento metri, in grado di ghermire anche le navi più grandi.
Le versioni più colorite gli attribuiscono la capacità di riconoscere gli uomini malvagi, e di sobbarcarsi il compito di trascinarli sul fondo dell’oceano.
Secondo lo svedese Jacob Wallenberg, contemporaneo di Pontoppidan, il Kraken, lungo quasi 16 chilometri, rimane sul fondo dell’oceano per mesi, per poi riemergere quando sente l’arrivo di una flotta.
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